Tra l’espressionistico e il grottesco, come una categoria dell’estetica, riproducono altre persone. Facendo della somiglianza un’arte. Folle e kitsch

Si’ fosse sosia, farei fesso il mondo. Potrebbe essere questo il mantra dei replicanti. A partire dai replicanti vipponi: i sosia di Bruno Barbieri, J-Ax, Bono Vox... Per non parlare dei sosia di Michael Jackson o di Little Tony. Mattocchi e impresari di sé dove l’io è rimbaudiano, cioè pazzo, dove l’identità è stregata e pure tragicomica. A metà fra il grottesco e l’espressionista, fra l’assurdo e il pensiero magico.

 

Al livello sociale, i sosia ci attirano ancora – forse non hanno mai smesso – perché attizzano lo sciamano che è in noi. Ravvivano quell’incanto anti-illuminista e per l’appunto fatato che i pazzologi – da Freud in poi – chiamano “perturbante”.

 

Eppure noi crediamo – e sia detto senz’offesa per lor signori – che i sosia siano interessanti anzitutto per il loro esser kitsch. E cioè per l’appartenenza a una delle più stupende categorie dell’estetica contemporanea.

 

Pensateci. La copia del piccolo cuoco o quella delle pop-star feticizzano un’altra vita esattamente come gli oggetti kitsch feticizzano gli oggetti d’uso comune. I gemelli s’appropriano di un altro “io”, l’aspirano via dal seeuo contesto originale… Come Duchamp e Warhol con gli oggetti riproducibili dalla tecnica, i sosia riproducono lo star-system e lo ricoprono di occultismo pop. E c’è di certo della follia nel farsi sosia. Ma è una follia metodica, codificata. A suo modo ben impostata.

 

 

Ed ecco Antonello Rossi, che non solo assomiglia a Bruno Barbieri, ma imposta la sua vita – i suoi gusti, le sue manie – su quelli del suo prototipo. Ecco Antonello che della somiglianza fa un mestiere e centra l’impresa: la televisione dedica a lui e ai sosia degli altri il docufilm di Bruno Barbieri e Salvo Spoto. Tracciando peraltro un’insospettabile continuità fra il nostro cuoco e la commedia antica, fra Antonello Rossi alter ego di Barbieri e Mercurio trasfigurato nel servo Sosia (era l’Anfitrione di Plauto e anche lì l’uomo-sosia aveva già i due volti che gli son propri: il raggiro del dio scaltro e il servilismo del maggiordomo). Un po’ com’è nella cultura giapponese con la figura del Kagerusha (Akira Kurosawa ci fece un film nel 1980). Kagerusha ovvero uomo-ombra, antesignano del sosia per mestiere: un soldato particolarmente somigliante al capo, incaricato di controfigurare all’occasione, di partecipare alle cerimonie pubbliche e – come nel film di Kurosawa – d’interpretare il capo morto affinché i soldati non perdessero coraggio. (Dettaglio: kagerusha è sempre un samurai e mai un ronin, è sempre un servitore e mai un guerriero libero da vincoli. È perciò una figura affascinante nel suo essere ridicola: uomo forte in pubblico, maggiordomo in privato). Parassitario eppure al servizio di una vita ulteriore, Kagerusha è il papà nobile dei nostri Little Tony e Michael Jackson in serie: piazzisti di sé stessi ovvero assoldati da agenzie specializzate in reclutamento-sosia.

 

«Un lavoro leggero e divertente», scrive uno dei siti appositi, «e che fa guadagnare bene». Bene ossia un centinaio d’euro l’ora.

 

E il sosia – visto così – è davvero nel kitsch. Giusto a metà fra il ridicolo e il sublime. Hai voglia quindi con Freud, il perturbante, il Doppelgänger... Il sosia di J-Ax con tatuaggi bandane e inflessione rauca-meneghina è il nostro kitsch vivant quanto il replicante di Bono Vox con lo Stetson. Ma questo è quel che vedono nel sosia i maliziosi: feticismo, servilismo spregiudicato, spirito d’impresa… Perché il sosia, s’è detto, campa finché affattura. Finché fa pensare d’essere magico, non kitsch. Finché fa credere che niente accade per caso. Neppure per coincidenze biologiche. Tutto accade perché c’è un disegno – come un filo – che unisce due (o forse sette?) individui nel mondo. Individui che mettono in crisi il DNA, il sistema razionale, religioso, scientifico dell’individuo “unico e irripetibile”. In qualche modo il sosia è un regresso dagli stadi scientifici e religiosi a quelli primitivi del pensiero magico.

 

Il replicante ha successo perché rianima un certo sciamanesimo che in fondo non ci ha mai abbandonato, ma che anzi, fra intelligenze artificiali e deep fake, sta tornando eccome, in grande sintonia con l’eterna passione per gli oroscopi che resistono a tutto – altro che ateismo (se Dio è morto, Paolo Fox è vivo, non è mai stato meglio). Insomma, la gloria del sosia è legata a questo: al nostro amore per il mistero.

 

 

E davvero i somiglianti ingaggiati da Barbieri, come dalle agenzie, sono degni dei meccanismi sciamanici spiegati da James Frazer. Sono a metà tra magico e kitsch, tra folle e canaglia. L’antropologo però lo diceva: meglio un fattucchiere furfante di uno che crede ai propri incantesimi, meglio dunque “i farabutti intelligenti dei cretini onesti”. Ed ecco che questa sintesi, che ben s’abbina ai politici d’oggi (meglio gli intelligenti degli onesti: annotino gli amabili resti grillini, figli di uno sciamano anche loro, e anche loro vittoriosi, al tempo, per via d’un diffuso pensiero magico), ecco che questa sintesi, dicevamo, riassume la vita d’un sosia: pazzo-convinto oppure scaltro-piazzista di sé. Il sosia o è magico o è kitsch. E come per i fattucchieri, lo stesso vale per lui: meglio canaglia. Ché quando il sosia è onesto – come il mago, come il politico – è in fondo un cretino. E quando è intelligente – e mattocchio ci si finge – sfrutta la situazione nella piena coscienza di sé. Nella piena coscienza del kitsch.

 

Nel cattivo gusto iperrealista che ammalia più della magia.