Il governo ha promesso ai tedeschi una società in discontinuità con la vecchia Alitalia, ma la sentenza che impone il reintegro di 77 ex dipendenti cambia le carte in tavola. E mentre Giorgia Meloni parla di “trattativa di successo” si scopre che l'accordo non è stato notificato all'Antitrust di Bruxelles

Era il 7 maggio quando veniva dato per fatto e imminente il matrimonio tra Ita Aiways e Lufthansa: del resto era persino già scaduta la proroga concessa alla trattativa in esclusiva tra il ministero italiano dell’Economia e la società tedesca per la vendita a questi ultimi di una quota di minoranza della newco, nata dalle ceneri di Alitalia. Siamo a settembre e si scopre che la trattativa è pericolosamente in bilico. 

 

Sembra incredibile ma oggi si scopre che le “pubblicazioni del matrimonio” non sono mai state formalizzate a Bruxelles. Alla Commissione Concorrenza dell'Unione Europea, infatti, non è pervenuta nessuna richiesta di unione o acquisizione e questo rischia pesantemente di minare l'accordo. Infatti, ogni transazione di questo tipo dve essere notificata alla Commissione europea, ma un portavoce dell'esecutivo comunitario, interpellato sull'operazione, fa sapere che non c'è alcun “disco verde” dell'Antitrust dell'Ue all'imminente operazione per il semplice motivo che nessuno ha mai notificato a Bruxelles l'operazione. 

 

L'intesa ora rischia di saltare perché Lufthansa è fortemente preoccupata per via della causa giudiziaria vinta da 77 ex-dipendenti Alitalia: hanno ottenuto il reintegro al lavoro, imposto a Ita da un giudice della Corte d'Appello del Tribunale di Roma. 

 

Verosimilmente, dopo di loro, otterranno un reintegro anche un altro migliaio di addetti che, a loro volta, hanno avviato una procedura di ricorso in tutto simile a quella dei precedenti 77 dipendenti. Il finale, ovvero il pieno reintegro di un migliaio di ex dipendenti Alitalia in Ita, è pressoché scontato dal momento che – fino a prova contraria – la giustizia è uguale per tutti e quindi tutti gli esclusi dalla nuova compagna dovrebbero rientrare dopo la sentenza del Giudice. A questo punto si rischia di far saltare la trattativa che il governo ha pavidamente tentato di avviare per privatizzare la compagnia di bandiera. 

 

Pavidamente perché, al di là delle complesse questioni legali ancora irrisolte, non è per nulla scontato che si volesse privatizzare (anche parzialmente) per davvero Ita. In questi giorni è riecheggiato il nome di Gianluigi Aponte, il capo del colosso delle crociere MSC, quale partner industriale che potrebbe prendere il  posto dei tedeschi. Tanto più che Lufthansa è preoccupata per la causa giudiziaria vinta dagli ex-dipendenti Alitalia che hanno chiesto e ottenuto il reintegro al lavoro. Se dovesse saltare l'intesa con i tedeschi, si tratterebbe dell'ennesimo capitolo di una saga all'italiana in cui a pagare il conto di un dissesto decennale sono sempre i soliti, i cittadini.

 

Alitalia, una crisi senza fine
La crisi di Alitalia  è esplosa nel 2018 con il suo commissariamento, ma era iniziata nel 2007 ed è costata ai contribuenti quasi 14 miliardi di euro. Non è bastato dare alla società un nuovo nome, Ita Airways, per mascherare la continuità con la vecchia Alitalia: stessi aerei, stesso personale, stessi slot, stessi manager, mentre la Ue richiedeva espressamente che l'ulteriore aiuto di Stato fosse verso una nuova compagnia in discontinuità con la vecchia Alitalia. Anche sotto la gestione di numerosi commissari, la compagnia aerea ha continuato a perdere soldi ed è sopravvissuta soltanto grazie a una serie di “prestiti ponte” forniti dal governo le cui scadenze sono state via via allungate.  Il tutto ha avuto inizio con la privatizzazione dei “capitani coraggiosi” lanciata da Berlusconi: la cordata messa in fila da Intesa Sanpaolo, guidata da Roberto Colaninno con industriali come Benetton, Riva, Ligresti, Marcegaglia e Caltagirone, dove la parte sana dell'azienda è andata a loro e quella cattiva è rimasta in carico dello Stato è fallita. E successivamente lo Stato si è accollato i debiti e i costi di quella che diventerà la più lunga e costosa cassa integrazione della storia italiana.

 

Ci hanno riprovato nel 2015, quando Alitalia diventa Sai, Società aerea italiana con la Joint Venture con gli arabi di Ethiad. Nel maggio del 2017 Alitalia Sai veniva messa in amministrazione straordinaria sotto il governo Gentiloni, ricevendo un prestito di 900 milioni di euro in due tranche. A guidarla arrivarono ben tre commissari: Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari.

 

Nel 2018 fallisce un’operazione di sistema con la regia delle Fs, con la partecipazione di Atlantia e un partner internazionale, Delta. Arriva anche un nuovo commissario, Giuseppe Leogrande. Poi il Governo, con il decreto Cura Italia, fa tornare Alitalia sotto l’ala pubblica. In piena pandemia, il secondo esecutivo Conte decide di creare una nuova compagnia per rilanciare il marchio Alitalia e affida il compito a Fabio Lazzerini (amministratore delegato) e Francesco Caio (presidente). Nasce la TAI Trasporto Aereo Italia, una compagnia aerea interamente controllata dal ministero dell’Economia. Poi, con il decreto di privatizzazione, nasce Ita Airwais e nel 2021 comincia ad operare. Indimenticabili le lacrime di coccodrillo per l'ultimo volo di Alitalia.

 

Da allora si è cercato di affiancare ad Ita un operatore industriale capace di rilanciare il vettore italiano senza smontare i legami tra la politica e l'azienda, che sono il vero problema di questa società che, nonostante i numerosi salvataggi non riesce mai a decollare. Alla fine la scelta è caduta su Lufthansa, ma ora si scopre che la trattativa è stata un mezzo bluff. I tedeschi stanno anche valutando le richieste italiane sullo sviluppo strategico dell'aeroporto di Roma-Fiumicino, che non vogliono sia penalizzato rispetto agli scali milanesi di Linate e Malpensa, che invece Lega intende valorizzare. 

 

Nonostante il “pallino” del dossier sia passato dalla Presidenza del Consiglio (FdI) al Ministero dell'Economia (Lega), il futuro di Ita non è ancora disegnato. Quel che è certo è che il cordone ombelicale che lega la politica all'azienda di Stato, campione del consociativismo e del controllo delle assunzioni, nessuno lo vuole tagliare. Una prova, basta osservare il “vivace” turnover dei dirigenti di Ita negli ultimi tempi.

 

La replica di ITA al nostro articolo
“Con riferimento al tema della notifica dell’operazione tra MEF e Lufthansa per la cessione della partecipazione in ITA, si rappresenta che le interlocuzioni tra le parti sono state infatti avviate prima della firma dell’accordo tra MEF e Lufthansa e successivamente intensificate. Come da prassi la Commissione ha costituito un gruppo di lavoro dedicato al dossier e i contatti attualmente in corso sono tipici della fase di pre-notifica, che precede la formale notifica dell’operazione e in cui si svolgono tutti i necessari approfondimenti per assicurare la completezza della documentazione da presentare in sede di notifica. Le parti stanno dunque collaborando con il gruppo di lavoro della Commissione fornendo dati e informazioni utili per procedere alla notifica formale dell’operazione, sulla base dell’accordo sottoscritto a giugno scorso tra MEF e Lufthansa, con l’obiettivo di arrivare ad ottenere l’autorizzazione in tempi brevi. In merito alla sentenza della Corte di Appello, si fa presente che la stessa è ininfluente perché l’inammissibilità dell’istanza stabilita dalla Corte è dettata dal fatto che la Compagnia aveva già iniziato a reintegrare i 70 ricorrenti visto che la sospensiva è stata discussa tardivamente, dando così esecuzione alla sentenza. Si tratta, quindi, di un tema meramente procedurale e non di merito. Si ricorda che ad oggi nel merito si registrano 34 sentenze favorevoli ad ITA Airways (relative a complessivi 775 ricorrenti) e una sola sfavorevole (77 ricorrenti, di cui 7 hanno rinunciato al giudizio); la giurisprudenza maggioritaria ha dunque affermato il principio di discontinuità tra ITA Airways e Alitalia".