Si parla tanto di autostrade digitali come scommessa sul futuro. Per vincere le scommesse, però, prima di tutto bisogna giocarle. In Italia si è fatto poco finora. Se si escludono i grandi centri abitati, il resto del Paese è ancora scollegato dalle grandi arterie digitali, infrastrutture indispensabili per lo sviluppo. In Italia esistono due autostrade per l’alta velocità dei dati: quella di Tim (controllata al 24% dai francesi di Vivendi, al 10% da Cdp, il resto mercato) e quella di Open Fiber (60% Cdp e 40% il fondo australiano Macquaire), naturalmente in concorrenza.
La cosa più logica sarebbe quella di unirle e avere un’unica grande rete. Il governo Meloni, invece, già all’indomani del suo insediamento aveva proclamato di puntare solo sulla rete di Tim. Si sta però accorgendo che si potrebbe fare di più. Allora avanti adagio, quasi indietro. Così dopo mesi di trattative, incertezze e stop and go, il processo che dovrà portare alla creazione di una società per la rete digitale italiana ha fatto un passo in avanti lunedì 28 agosto, con un Dpcm (per gli aspetti regolatori) e con un decreto legge, che permette all’esecutivo di reperire i fondi necessari.
Per ora l’operazione riguarda solo la rete Tim.
Le decisioni del governo danno attuazione all’Accordo quadro siglato alla vigilia di Ferragosto tra il ministero dell’Economia e delle finanze e KKR, un grande investitore statunitense specializzato in infrastrutture digitali, che all’inizio dell’estate ha ottenuto dal cda di Tim l’esclusiva fino al 30 settembre per presentare un’offerta di acquisto vincolante per la rete.
Alla fine, il fondo KKR avrà il 65%. ll Mef entrerà nella partita con una quota di circa il 20% per un valore di 2,2 miliardi. La presenza del governo nel capitale oltre all’esercizio della golden share, e assieme, probabilmente, al fondo infrastrutturale italiano F2i e la Cassa Depositi e Prestiti, con una quota presumibilmente limitata per i vincoli Antitrust, consentirà al fondo americano di fare il suo mestiere di investitore, ma allo Stato italiano di non perdere il controllo politico dell’operazione.
Nella rete confluiranno tutte le infrastrutture in rame e in fibra di Tim, in pratica strade (rame, il vecchio doppino telefonico che la Sip portava nelle case degli italiani) e autostrade (i cavi in fibra, in parte già posati) mentre Sparkle, la rete di cavi sottomarini tra l’Europa e il vicino Oriente, dove passano milioni di dati, anche sensibili, dovrebbe migrare sotto l’ala del Mef. Tutto al netto degli umori di Vivendi, che di Tim è il maggiore azionista.
Nell’accordo quadro siglato tra Mef e KKR, c’è uno spiraglio anche per Open Fiber, uno spiraglio destinato a diventare un’apertura se si vuole allargare rapidamente l’infrastruttura digitale.
Infatti, se le società di rete restassero due potrebbero finire come i capponi di Renzo. Con la mossa del Governo un passo avanti è stato fatto, ma ancora non ci siamo. Occorre passare da due a una sola autostrada digitale, con l’ottimizzazione degli investimenti (ingenti) ancora necessari per cablare l’Italia e la concentrazione dei fondi pubblici (ingenti) ancora a disposizione su una sola infrastruttura, ancorché disperdere le risorse in due.
Non solo, ma alla stregua di quanto già sta avvenendo in Francia, Spagna e altri Paesi Ue, il governo dovrà spingere per la migrazione dal rame (energivoro) alla fibra. Anche perché, ad oggi, solo 250 mila clienti a trimestre, tra aziende e privati, chiedono di passare dal doppino alla fibra, circa 1 milione all’anno: di questo passo per cablare l’Italia ad alta velocità occorreranno tra i 25 e i 30 anni.