I dialoghi dell'Espresso
Helen Mirren: «Non chiamatemi star: sono una contadina salentina, e pure vecchia»
I dialoghi dell'Espresso
Helen Mirren: «Non chiamatemi star: sono una contadina salentina, e pure vecchia»
La star britannica vive in Puglia da dieci anni ed è impegnata in difesa degli ulivi secolari. Qui s racconta, dal set alla vita reale e senza filtri. «Ho molti rimorsi e rimpianti, ma sono più saggia grazie agli errori che ho commesso»
«Un’attrice deve parlare, usare la propria voce, sostenere le cause che ritiene importanti per gli altri». Anche se non lo dicesse sarebbe chiaro a tutti che Helen Mirren, a 78 anni, non si è ancora arresa dal proposito di voler cambiare il mondo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. Trasforma ogni sua uscita pubblica in un evento, ogni sua presentazione in un appello all’urgenza del «fare». A chi la chiama “The Queen”, anche per omaggiare il ruolo iconico della monarca britannica che le valse l’Oscar nel 2007, risponde secca con il sorriso: «Non sono la regina di niente e di nessuno, sono solo una contadina salentina (lo dice in italiano, ndr), e pure vecchia. Lo scriva, v-e-c-c-h-i-a». Ogni volta che la si incontra, o intervista, sfoggia una gentilezza fuori dal comune, si presta a rispondere a ogni curiosità senza dare mai segnali di impazienza. Si concede alle foto, ai selfie, agli autografi dei passanti, chiacchiera con le signore del posto e in ogni evento ci tiene a presentarsi nel modo più naturale e semplice possibile: senza orpelli, tinte ai capelli e trucco, ai piedi solo scarpe basse, ciabatte, o anche piedi scalzi. Sfoggia abiti semplici, comodi, come le sue parole, scelte più per farsi capire dalla gente che per farsi bella.
Insomma Mirren è tutto tranne che una diva, guardie del corpo e stuoli di aiutanti non fanno per lei, preferisce presentarsi mano per mano con suo marito, il regista Taylor Hackford, con cui fa coppia dal 1986 e con cui ha scelto di vivere in Salento da oltre dieci anni. «Facciamo una vita tranquilla: io mi occupo del giardino, delle mie letture, lui della pasta: è bravissimo a cucinarla, come sono brava io a gustarmela». Pochi giorni fa ha scelto di organizzare la premiere del suo ultimo film “Wonder – White Bird”, tratto dalla graphic novel di R. J. Palacio e in questi giorni al cinema, proprio tra i suoi vicini di masseria di Tiggiano e Tricase. Racconta l’importanza dell’empatia e dell’altruismo interpretando la saggia nonna Sara, che intende redimere il nipote bullo raccontandogli la sua infanzia travagliata di bambina ebrea. «È un film che parla dell’importanza della gentilezza e dei rapporti con la famiglia, qualità che ho da subito riscontrato in Salento. Ricordo ancora la prima volta che misi piede qui, i vicini mi offrirono un piatto di fave e cicoria che non ho più smesso di mangiare da allora. Intendo fare tutto quello che posso per ripagare la loro generosità».
Il suo impegno per la comunità salentina non si limita al cinema. Ora fa un appello per firmare la petizione per restaurare Torre Palane (c’è un video su YouTube in cui ne parla, con tanto di ciabatte e fascia in testa), ora manifesta per salvare gli ulivi, falciati dalla diffusione della xylella: «Gli alberi secolari sono un patrimonio da salvare, proprio come i capolavori architettonici italiani. Un olivo pluricentenario non è meno importante del Colosseo. Eppure ne abbiamo persi milioni su milioni, è una tragedia e un disastro di proporzioni enormi di cui non si parla abbastanza. Sono testimone della morte di questi alberi, si sono ammalati anche quelli della nostra masseria, ci stiamo impegnando con l’associazione “Save the olives” a ripiantarne di nuovi, ma nel frattempo è importante che diventi un problema urgente per tutti. Perché è come se il Colosseo crollasse, tutti correremmo a urlare “salviamolo!”. Bene, allora pensiamo a salvare al più presto questi alberi, che hanno vissuto la storia dell’Italia. Non sprechiamo il patrimonio naturale che avete e che abbiamo in questo Paese». Parlare alla gente sembra essere diventata la sua missione personale, Mirren la persegue con determinazione evidente e senza il minimo timore di mettersi in gioco in vesti anche autoironiche, come ha dimostrato collaborando con Checco Zalone nel video della canzone “La Vacinada”, divenuto virale nel giro di poche ore. «Ho accettato con entusiasmo la proposta del mio amico e ammirato collega Checco Zalone di comparire assieme a lui nel video per promuovere l’assunzione del vaccino. Lavorare con un uomo di tale eleganza e genialità è stato un onore e sono molto felice che ci sia stata una risposta così forte al nostro lavoro insieme».
Per nulla sfiorata dall’“age-gap” (discriminazione dovuta all’età) di Hollywood, la sua carriera cinquantennale prosegue a vele spiegate, specie dopo essere stata scelta come voce narrante del film-fenomeno dell’anno, il campione di incassi “Barbie” di Greta Gerwig. Senza contare che Mirren è riuscita a uscire indenne persino dal polverone di polemiche che hanno avvolto la sua performance nei panni della premier d’Israele Golda Meir nel film “Golda”, presentato l’anno scorso alla Berlinale – quindi in tempi non sospetti e non bellici – e da subito ricoperto di accuse di appropriazione culturale. «Golda è stata una persona incredibile da interpretare, ho provato un forte senso di ammirazione per lei e per il suo coraggio fuori dal comune», ha dichiarato l’attrice a Berlino. «Anziché il piglio dittatoriale aveva uno spirito materno e mi ha colpito molto la sua dedizione totale verso Israele. Questo senso del dovere assoluto verso il suo Paese mi ricordava in qualche modo la regina Elisabetta che avevo interpretato, se non fosse che Golda era più pragmatica, più emotiva e appassionata, ed era poi un’avida fumatrice, sempre con la sigaretta in mano».
Per portarla sullo schermo in maniera convincente ha dovuto sottoporsi a quattro ore di trucco ogni giorno: «Il trucco e i costumi sono la parte fondamentale per la creazione non solo del personaggio ma di tutta la storia. A fine riprese rivedere il mio viso nello specchio così com’era è stato sorprendente, tanto mi ero abituata a vederci riflessa per oltre un mese un’altra donna, Golda». Per prepararsi ammette di aver riguardato le performance di colleghe come Ingrid Bergman alle prese con lo stesso ruolo: «Bergman fece un lavoro meraviglioso sul personaggio in “Una donna di nome Golda”, io dopo aver letto tanti libri e guardato altrettanti film ho voluto farne qualcosa di diverso e solo mio, lontano dal biografico, anche perché il film ha il merito di non raccontare la sua intera vita, ma solo una parte, la più complessa e sfidante. Mi è piaciuto restituire anche il lato più domestico di Golda e il suo amore per gli utensili da cucina, che condivido appieno. Sono sempre lì a comprare il nuovo mixer del momento!».
Nelle polemiche non entra neanche, limitandosi a dire: «Avevo detto al regista israeliano Guy Nattiv di non essere ebrea e anche che mi sarei fatta da parte se fosse stato un problema, mi ha risposto ribadendo la sua convinzione ad avermi nei panni di Golda, e così è andata». Portare sullo schermo donne combattive la entusiasma: «È tempo di raccontare personaggi femminili forti, penso alla serie “1923” su Paramount+ che ho interpretato dopo aver letto biografie di donne assolutamente straordinarie, che hanno compiuto imprese incredibili e nessuno le ha mai raccontate. Non è che non ci fossero o non fossero esistite, è che sono state deliberatamente ignorate a beneficio delle storie degli uomini». Sottolinea di essere una privilegiata anche lei: «Sento di essere stata ragionevolmente fortunata nella vita, anche se sono partita da zero, per ogni problema professionale che ho affrontato so che sarebbe stato mille volte peggio per un’attrice di colore. Per fortuna i tempi stanno cambiando, ed è interessante vederli cambiare. La cosa più importante è poter avere un’opportunità, deve essere un diritto di tutte e tutti quanti, qualunque provenienza si abbia». Il futuro è ancora tutto da scrivere: «C’è ancora parecchio lavoro da fare, insieme, donne e uomini, congiunti: le battaglie degli ultimi vent’anni hanno profondamente modificato la nostra cultura, ma non bisogna mai dare niente per scontato, il pericolo della regressione è sempre dietro l’angolo e si può combattere solo stando insieme».
Guai a definirla saggia, in un attimo Mirren rintraccia l’origine della sua saggezza nei suoi fallimenti, dimostrando come si possa diventare un’icona senza cedere alla sindrome del perfezionismo: «Ho molti rimorsi e rimpianti, devo conviverci. La cosa positiva è che gli sbagli sono portatori sani di consapevolezza: tornassi indietro li rifarei, sono più saggia grazie agli errori che ho commesso».