La moda che sfila sulle passerelle di Bangkok è un tributo all’eccentricità. Ma anche un omaggio ai corpi delle donne: diversi, unici, spesso oversize

Niente è come sembra, al Benedict Studio di Bangkok. Una profusione di madonnine e un simulacro di chiostro, in bianco monacale. Giardino tropicale e gallerie con lampadari chandelier come fossimo in una piccola Versailles. Trofei di caccia alle pareti e un salone degli specchi con poltrone rosa e divani ricoperti di broccato nero. Il Benedict si presta a ogni fantasia, perché così l’hanno voluto Luknut Siriwong Sukkasemsin e Dear Thananon Thanakornkan, i suoi due fondatori e creatori, uno spiccato gusto per il gotico combinato alla passione per le cattedrali cattoliche. Se questo teatro di posa si chiama Benedict, del resto, è in omaggio a San Benedetto, cui Thananon s’ispira.

 

Niente potrebbe essere più lontano dalla severa regola benedettina, “Ora et labora”, di quello che stiamo per vedere. La settimana della moda thailandese, dedicata alle collezioni estive, è un tributo all’eccentricità – o almeno a ciò che tale appare ai nostri occhi occidentali. Niente, qui, è paragonabile alle sfilate che si svolgono a Milano, Parigi o New York. A quel sistema economico efficiente, razionale, implacabile perfino nei suoi riti. La moda, qui in Asia - qui oggi a Bangkok- significa altro.

 

Non guardano a noi, gli stilisti thailandesi, filippini, malesi, indonesiani, singaporiani. È l’Asia la loro musa, la straordinaria molteplicità delle sue culture il richiamo. I designer più interessanti, tra quelli che sfilano al Benedict Studio, guardano a est. Ai tessuti dei loro paesi, alle sete, ai batik, ai preziosi “songket” malesi, ai broccati dorati. Alle forme teatrali di certi costumi, impensabili nella vita quotidiana. Ma qui si sogna. Questa moda non è fatta per andare al lavoro, in metropolitana, viaggiare. È fatta per essere desiderata e per farsi desiderare.

 

La Thailand Fashion Week

 

Si comincia con Don Cristobal, stilista filippino. I suoi sembrano abiti da Quinceañera, la festa dei 15 anni diffusa in molti paesi latino-americani: vestiti rosa, lunghi, a balze, pieni di tulle, di fiocchi e di ricami. Broccati e fiori, cappe e strascichi. Nel timore che il concetto non sia abbastanza chiaro, le modelle hanno anche coroncine di fiori rosa tra i capelli. Nella sala degli chandelier, il minimalismo non è pervenuto. Al contrario, niente è mai troppo femminile, troppo ricco, troppo glassato: questo zucchero barocco piace, moltissimo. Non lo dice anche l’eterna icona di stile Iris Apfel, del resto? More is more and less is a bore. Il rigore, tenetevelo voi.

 

È di origini filippine, ma oggi americana, Archie Rochelle Brown. Il suo brand, Archie Brown Designs, è nato a causa della pandemia. Nello Utah, dove vive, possedeva alcuni barber shop. Le piaceva la moda, però, e disegnava abiti per le occasioni speciali della figlia 17enne, «e ogni volta le sue amiche mi chiedevano se potevo farne anche per loro. Poi è arrivata la pandemia e tutto si è fermato. Mi sono detta, “Mi serve un piano B”, non potrò andare avanti a lungo con le barberie». Si è messa a realizzare prima vestiti da reginette di bellezza per adolescenti, poi il giro si è allargato e le collezioni si sono fatte più mature, la tecnica molto più sofisticata. A Bangkok, Archie presenta notevoli “transition dress”, come li chiama lei: sono due abiti in uno, uno che evolve nell’altro. Un abito che all’inizio è corto, da cocktail, diventa lungo, da red carpet, con un rapido movimento di chi lo indossa. La tinta unita rivela stampe sgargianti, le gonne diventano spolverini… L’effetto è spettacolare. «Sono affascinata da sete, cappe, cristalli, creo abiti per serate ed eventi. Disegno cose scintillanti anche per gli uomini: il piacere di esagerare non conosce distinzioni di sesso». Cose come quelle che indossa Brady Hamilton, 23 anni, su Instagram @shaggy2060. Lui stesso un mutante, in fondo: un esempio di pendolo tra maschile e femminile, a suo agio in entrambi gli universi. Fa sfilate in tutto il mondo, la base resta però nello Utah. Ma è lo stato americano con la più alta concentrazione di mormoni, mi sento dire. «Faccio scelte controverse, vero?», sorride. «Trovo molto interessante la parola “controverso”». Molto, qui, può esserlo. E mettere in discussione certezze che non sapevi di avere. Il rapporto col corpo, per esempio. Qui non c’è il modello sostanzialmente unico che pervade le passerelle europee ed americane. Corpi indiscutibilmente grassi hanno totale diritto di cittadinanza, piacciono senza se e senza ma: la carne non è sbagliata, per indonesiani, malesi o singaporiani. La sfilata di Anuar Faizal viene aperta e chiusa da modelle radicalmente oversize, che indossano abiti molto rivelatori. Le thai vanno pazze per il sottile modello Blackpink (girl group sudcoreano)? Non è un problema per Anuar, di origini malesi, basato a Singapore. Vende in tutto il mondo, gli ordini arrivano su Instagram, tutto è fatto su misura per i clienti, uomini e donne che amano la sua moda eccentrica, sontuosa, teatralissima. Drappeggi, fusciacche, tuniche, gonne da uomo: siamo ben oltre il gender fluid, il lusso maschile arriva a livelli di sontuosità da uccelli del paradiso. «Per questa collezione ho creato venti outfit, e molto in fondo è unisex. Quello che conta, per me, è che le cose siano preziose e durino. Detesto il fast fashion, io uso decorazioni tribali e tessuti tradizionali malesi come il SongKet, fatto a mano dalle donne della penisola e di Sarawak intrecciando fili d’oro e d’argento nella trama. Qui l’ho voluto usare per realizzare un indumento tipico della tradizione reale, una giacchetta impreziosita da broccati da preghiera». Nel fashion lavora da dieci anni, prima faceva il banchiere per Credit Suisse, poi la passione per la moda ha prevalso e a Singapore non è stato difficile incontrare le persone giuste, che lo hanno finanziato.

 

Alla Thailand Fashion Week sfila il “transition dress”: un abito che evolve in un altro

 

Etnico-contemporaneo è anche il mondo dello stilista Benz, indonesiano, che ha probabilmente presentato la più bella tra le collezioni di questa Thailand Fashion week: Zuebarka By Benz. Dieci outfit per donna, cinque per uomini e cinque per bambine (adorabili) in Wastra clothing, ovvero un intreccio sapiente di motivi e tessuti tradizionali, batik da Giava, ricami fatti a Bali e a Bandung, stoffe dalla provincia di Nusa Tenggara e Jepara. Il risultato è uno stile forte, sofisticato e modernissimo.

 

La sorpresa finale, da ogni punto di vista, è la stilista Mutiara Dina, anche lei indonesiana, con una collezione ispirata al fascino e alla forza delle sirene. L’ha chiamata Embrace, “abbraccio”, ed è un invito alle donne ad abbracciare la propria femminilità: e dunque pochi outfit ma tutti in rosa, e ovunque perle bianche, perché Mutiara significa Perla. Esce a prendersi gli applausi, Mutiara Dina, piccina e velata, ai piedi sandaletti troppo grandi per lei in cui sembra nuotare. Saluta timida, dopo essere arrivata ciabattando al centro del salone, sotto i lampadari di cristallo. Sarebbe impensabile a Milano - come molto di quanto visto qui.