Gusto in mostra
Il museo è stellato: così la grande cucina entra nei luoghi dell'arte
Parigi, Milano, Roma, Napoli. I grandi spazi espositivi ospitano sempre più spesso ristoranti di qualità. Con menu gourmand, talvolta ispirati alle retrospettive in corso. Ecco la mappa aggiornata
Non solo bookshop e caffetterie. Ora i musei ampliano l’offerta per i visitatori con ristoranti dai menu gourmand, spesso stellati, che invogliano a trattenersi fra le opere d’arte e il contesto circostante molto di più dello spazio di una visita a una mostra. Se il Victoria&Albert Museum di Londra fin da metà Ottocento disponeva di locali per mangiare, in Italia il pioniere del settore è stato il Castello di Rivoli a Torino dove lo chef Davide Scabin e il suo Combal.Zero hanno fatto scuola. Un’avventura durata diciotto anni, ora archiviata.
Il connubio tra arte antica, moderna, contemporanea e alta gastronomia piace da Parigi, dove il ristorante multietnico Les Ombres progettato da Jean Nouvel all’interno del Museo etnologico del Quai Branly conta sulla prestigiosa consulenza di Alain Ducasse a Rotterdam con i menu firmati dallo chef Jim de Jong all’ultimo piano del Depot Boijmans Van Beuningen per approdare al MUDEC-Museo delle Culture di Milano con il tristellato Enrico Bartolini. «Aprire un ristorante all’interno di un museo pubblico nel 2016 è stato un colpo di fortuna: dopo l’Expo la città era ancora più internazionale e molti quartieri erano cresciuti. Tre anni dopo, con la collaborazione di tutta la squadra, l’arrivo della terza stella ci ha premiati», esordisce Bartolini, grande appassionato di arte e design. «La clientela è composta da milanesi e da turisti e, a pranzo, abbiamo un pubblico business. La ricetta più richiesta? Il risotto rape rosse e salsa gorgonzola. Insieme a Davide Boglioli, chef de cuisine e a Sebastien Ferrara, sommelier, proponiamo due menu degustazione mentre i piatti à la carte variano in base alla stagionalità dei prodotti, interpretando sapori, mondi, tradizioni. Proprio come il museo che ci accoglie».
Fresco di riapertura è invece Terrazza Triennale, all’ultimo piano di Triennale Milano, affidato al milanesissimo Tommaso Arrigoni affiancato dal resident chef Albano Rrapi: tavoli tondi e rettangolari per complessivi 60 coperti oltre a una quarantina all’esterno, progetto di illuminazione firmato Artemide e un attiguo cocktail bar a completare l’offerta aperto dalle 17 all’una. Scendendo lungo la penisola, la vera novità è rappresentata da Strozzi Bistrò all’interno di Palazzo Strozzi a Firenze: progetto di Novembre Studio che privilegia il blu, colore sociale del museo, e menu firmato da Tommaso Arrigoni che mixa i classici pici al ragù ricco con l’Uovo CBT (Cotto a Bassa Temperatura), il Pan brioche tostato con paté di fegatini alla toscana e il gel al vin santo. Aperto tutti i giorni, dalle 9 a mezzanotte, il ristorante conta su un dehor nella corte centrale dello storico edificio con vista diretta sulle installazioni artistiche.
Sulle rive dell’Adriatico, sono ben due i progetti di ristorazione negli spazi espositivi a Pescara: Fez&Fezzino, locale giovane e modaiolo dentro il CLAP Museum, interamente dedicato al fumetto, e Imago Bistrot di prossima inaugurazione al piano terra dell’Imago Museum che espone una collezione permanente di Mario Schifano. «Ci dividiamo su due piani: il locale per l’aperitivo e il ristorante vero e proprio da 40 coperti, con piatti di cucina italiana contemporanea che privilegiano le materie prime del territorio abruzzese. Una proposta trasversale, esattamente come il mondo dei fumetti», racconta Fabrizio Sacco, ingegnere, ai fornelli di Fez&Fezzino, che si è formato all’Accademia di Niko Romito e gestisce lo stabilimento balneare LOASI a Silvi Marina. Giorno di riposo, il martedì. A Roma dove a fare da apripista nel 2007 fu lo chef laziale Antonello Colonna con il suo Open Colonna nell’affascinante attico-serra di Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale progettato da Paolo Portoghesi, spicca la recente esperienza del marchio Molto Italiano all’interno della Galleria Borghese. «Siamo aperti dalla colazione all’aperitivo, seguendo gli orari del museo e, dato che il locale è accessibile dal parco, abbiamo parecchia clientela di passaggio», spiega Lorenzo Bassetti, imprenditore e collezionista d’arte contemporanea. «Lo chef Nicolò Galeani è affiancato da un team di 15 persone e il menu privilegia la qualità visto il contesto in cui lavoriamo, uno dei musei più belli del mondo».
È formata da un buon 70 per cento di romani la clientela del Caffè delle Arti in un’ala della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, da maggio a settembre aperto anche a cena con 180 coperti. «La mia famiglia gestisce la struttura da una ventina d’anni e di recente è stato fatto un restyling totale», dice Ruggero Giannelli. «Complice la vicinanza con gli istituti di cultura stranieri, arrivano molti studenti e turisti in prevalenza americani, francesi, tedeschi, spagnoli che ci chiedono le crostate con la marmellata del Monastero di Vitorchiano, le crocchette di baccalà, i tonnarelli cacio e pepe, il galletto disossato, la scarola uvetta e pinoli preparati dal resident chef Christian Hubler». Forte la carta dei vini, con un occhio particolare a quelli naturali, italiani e non.
Sempre nella Capitale, è stato aperto da pochi mesi ViVi – Piazza Venezia, il bistrot di Palazzo Bonaparte ispirato ai caffè parigini degli anni Venti seguendo il progetto dell’architetto Andrea Magnaghi. Gli ingredienti dei piatti sono a km 0 – il brand ViVi fa parte del movimento B Corp, unico nel settore della ristorazione ad avere questa certificazione da Roma in giù – e lasciano grande spazio alla cucina romanesca. Con qualche incursione esotica anche nella lista dei cocktail.
Le sorprese più interessanti in tema di esperienze gastronomiche nei musei le riserva Napoli: alle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo nella centralissima e commerciale via Toledo, è arrivato da poco lo chef-ingegnere informatico beneventano Giuseppe Iannotti, 40 anni, due stelle Michelin al Krèsios di Telese Terme. Entrando nell’edificio disegnato da Marcello Piacentini sul finire degli anni Trenta, c’è Luminist, caffetteria con bistrot mentre ai piani alti, con vista sui Quartieri Spagnoli, è appollaiato 177 Toledo, il fine dining vero e proprio. «I nostri menu sono spesso ispirati alle mostre in corso perché i locali sono prima di tutto un servizio al museo. L’idea dello chef viene dopo», racconta Iannotti. «177 Toledo è la mia interpretazione di Napoli: eclettica, golosa, comica. Al quinto piano si accede solo su prenotazione, anche per il cocktail bar. Due i menu degustazione: il “71” e il “22”, numeri che richiamano la smorfia napoletana”. Una cucina che spazia dal ragù (o’ raù) alla variazione di polpo, dalla parmigiana di melanzane rivisitata alla zeppola con alghe e vongole. Seguendo un percorso ludico.
Inerpicandosi verso il Museo e Real Bosco di Capodimonte, si scopre un altro doppio progetto cultural-culinario. Immerso nel verde. Al margine nord orientale del parco, il Giardino Torre – noto anche come “Giardino di Biancour” dal nome della famiglia di giardinieri che lo ebbe in cura nel Settecento – rinasce dopo un attento restauro filologico e ospita il Giardino Torre-Orti e Cucina. «L’obiettivo è valorizzare le antiche cultivar autoctone, le produzioni di piccoli artigiani campani e di cooperative sociali attraverso il recupero di ricette quali pasta al forno imbottita e stufata, sartù alla giardiniera, gattò di cioccolata col pan di Spagna, torta alla Dama con pasta sfoglia, farina di mandorle e acqua di rose», sottolinea Nunzia Petrecca, amministratrice di Delizie Reali scarl che si è aggiudicata il bando di gara europeo. Nei 134 ettari di bosco è incastonata anche una piccola serra trasformata in tisaneria-bistrot, La Stufa dei Fiori. Per un light lunch sospesi nel tempo. E nello spazio.