I dialoghi dell'Espresso
Carla Signoris: «La satira serve a far ragionare. Il problema non è mai di chi la fa, ma di chi non la capisce»
«Fare satira oggi è difficile come lo è sempre stato, perché la satira calpesta l’amor proprio di qualcuno. Però si può fare, anzi si deve fare, è fondamentale». L’energia delle donne e le battaglie per affermarsi; la comicità; l’amore per la scrittura e per la pittura. L’attrice si racconta
Irreprensibile, vessatoria e anche un po’ mitomane. Ritroviamo così sullo schermo Carla Signoris nei panni dell’intransigente poliziotta Katia nella nuova serie umoristica “No Activity – Niente da segnalare” su Prime Video. Lei qualcosa da segnalare, tra una battuta e l’altra, ce l’ha: «A volte mi sento John Belushi quando diceva “Ma perché a me non fanno fare ‘Il Cacciatore’?”. Anch’io penso di essere un’attrice drammatica pazzesca, ma non mi capiscono!». Pare averla capita Susanna Nicchiarelli che nella sua serie “Fuochi d’artificio”, incentrata su una grande avventura partigiana, l’ha scelta per un ruolo drammatico: «Posso solo dire che indosserò una parrucca bianca da novantenne, ma voi ricordatemi come sono».
Nel frattempo Signoris continua a interpretare personaggi esilaranti quanto feroci, dalla regina della tv del dolore Flora in “Monterossi” alla nuova poliziotta irreprensibile Katia di “No Activity”. Ne parla divertita con L’Espresso: «Di Katia mi attraeva il suo sadismo nei confronti della sottoposta, interpretata da Emanuela Fanelli, e il suo sentirsi sempre fondamentale. Si sente al centro delle operazioni, è una mitomane convinta che senza di lei tutto si fermi, quante persone conosciamo così? Considera la collega una stagista quando in realtà è una poliziotta formata, non è in grado di abbandonare il suo posto neanche quando il figlio va in coma etilico, chiede alla sua vicina di andare in ospedale al suo posto. È maniaca del controllo, scarica tutte le sue sfighe e le sue frustrazioni sugli altri, guarda pure di cattivo occhio le nuove generazioni».
Al contrario di lei: «Amo stare con i giovani e lavorare in mezzo a loro, infatti accetto di buon grado le opere prime, trovo abbiano una bella energia. I giovani sono più ingenui e meno scafati, un po’ come me, che non sono Dory (la pesciolina smemorata di “Alla ricerca di Nemo” che ha doppiato, ndr) perché sono lucida, però sicuramente ho quel tratto naïf. Chi non ce l’ha? Meglio confessarlo, che nascondersi dietro la sicumera».
Guardando agli inizi della sua carriera non le viene in mente nessuno che si sia comportato come fa lei nella serie con la sua collega più giovane, però un nome ci tiene a citarlo: «Mi viene in mente Marzia Ubaldi, che ci ha appena lasciato. Una grande attrice che sapeva anche bacchettare». Lei non ha mai bacchettato per davvero Fanelli, anzi ci ha costruito un bel rapporto: «Ci siamo confrontate e abbiamo provato tanto prima di girare. Abbiamo improvvisato qualcosa, ma io sono una ligia, le sfumature diverse al personaggio le dai anche senza cambiare le parole, la comicità funziona quando sei bravo a non “sbrodolare”. O brava, perché ci sono sempre più attrici comiche».
In effetti oggi sono diverse le attrici che si dedicano alla comicità, quando ha iniziato lei erano molto poche: «Era ora. Stiamo uscendo dalla zona d’ombra noi donne, infatti ci ammazzano. Oddio, cosa ho detto, ma temo sia vero». Non trova sia più difficile emergere per una donna nel suo settore, non ne fa una questione di genere, ma di carattere: «Quando ero nel gruppo comico dei Broncoviz (fondato nel 1989 e formato da Maurizio Crozza, Marcello Cesena, Ugo Dighero, Mauro Pirovano e lei, ndr) ero l’unica donna, ma lì si combatteva tutti. Eravamo l’uno contro l’altro, una battaglia tra cinque personalità forti. Mi ha formato anche il carattere. Quanto a emergere, non saprei, io devo ancora emergere. Mi sento sempre l’attrice che sta forse facendo qualcosa».
La sua autocritica è ancora molto forte: «Guardo solo una volta le cose che faccio, poi non voglio più vederle, perché ho sempre da ridire». Suo marito, Maurizio Crozza, lo guarda eccome: «Lo guardo molto e so che mi guarda anche lui, ma non entriamo mai nel merito delle rispettive scelte. Non ci scambiamo consigli, io i miei errori me li faccio da sola, lui anche. Ognuno si fa gli errori suoi». Ridere delle proprie fragilità aiuta? «A me ha sempre aiutato, anche ad anticipare che ne ridessero gli altri. Riuscire a prendersi in giro è terapeutico. Non prendiamoci troppo sul serio, non ne abbiamo il diritto, guardiamoci intorno, osserviamo quello che accade nel mondo».
Una risata ci salverà: «Umberto Eco ne “Il nome della rosa” parlava del temuto potere della risata, che fa paura e che è la nostra salvezza. La mia è stata avere due genitori molto spiritosi». Anche lei e Crozza sono due genitori spiritosi: «Siamo una famiglia che ride. Oltre a urlare e litigare, come tutti». Racconta, con la solita ironia, come si dividono i compiti a casa: «Lui cucina e io impreco. E i figli (Giovanni e Pietro, ndr) mangiano». Figli che stanno seguendo le orme dei genitori: «Uno ha già fatto il Centro Sperimentale di Cinematografia e vive a Roma, l’altro è laureato in Fisica, vuole prendere la magistrale in Astrofisica, ma vuole anche fare il regista, quindi mi sa che siamo rovinati».
Alla domanda se la rivedremo in un film assieme a suo marito risponde senza esitazioni: «Non a breve, in questo momento Maurizio ha già abbastanza lavoro. Più avanti chi lo sa, nella vita ho imparato che “mai dire mai”». Parlando di satira politica, ritiene si possa ancora fare in Italia: «Sempre che non ti denuncino. Il problema non è mai di chi la fa, ma di chi non la capisce. Fare satira oggi è difficile come lo è sempre stato, perché la satira calpesta l’amor proprio di qualcuno. Per questo è sempre stata vessata. Però si può fare, anzi si deve fare, è fondamentale: può svelare dei tic che uno magari non osserva, non nota, ma ci sono. La satira è un modo per far ragionare».
Intravede dei nessi oggi tra comicità e politica? «Sarebbe bello se i politici si prendessero più sul serio, senza rischiare di portare via il lavoro a chi ha studiato tanto. Il problema è sempre la competenza: chi arriva a governare dovrebbe avere formazione, esperienza, lungimiranza e intelligenza. La passione non basta. Una volta il partito serviva a crescere, a formare, oggi i politici mi sembrano più improvvisati. Tutto questo per dire che essendo in democrazia se un comico vuole diventare politico può farlo – abbiamo tanti esempi, da Reagan a Zelensky – basta che prima acquisisca le giuste competenze». Lei non ha alcuna voglia di intraprendere la strada della politica, anzi se ne guarda bene: «Piuttosto apro un’edicola. Anche se stanno chiudendo pure quelle».
La scrittura fa parte della sua vita, ha scritto tre libri e la sua editor preme per un quarto: «Però scrivere è faticoso, preferisco dedicarmi alla pittura. Da anni coloro le mie tele». Una passione antica: «Dipingevo già da piccola, sognavo di fare la scenografa, più che l’attrice. Mi è sempre piaciuto imbrattare tele e in pandemia, mentre la famiglia giocava a ping-pong, mi ci sono rimessa». I titoli dei suoi libri sono “Ho sposato un deficiente”, “Meglio vedove che male accompagnate”, “E Penelope si arrabbiò” e Signoris si considera femminista per questi motivi: «Tanto per cominciare perché sono una donna, poi perché dovremmo essere tutti femministi. Parità dei sessi significa avere le stesse opportunità, dobbiamo puntare all’armonia tra i generi, senza avere paura del diverso o del non conforme. Siamo tutte e tutti in evoluzione e l’evoluzione deve migliorare la specie, le cose devono cambiare per forza».
Ripensando ai suoi primi passi, oggi darebbe una serie di consigli alla giovane attrice che si diplomava al Teatro Stabile di Genova: «Vai, divertiti. Viaggia, incontra, sperimenta. Prova. Fai tutto, non ti precludere nessuna strada». È un po’ quello che ripete ai suoi figli, con un’aggiunta importante: «Ai miei figli dico sempre “Fate gruppo”, perché lavorare in squadra porta energia. Io ho avuto la fortuna di lavorare molto in gruppo, tuttora amo prendere parte a progetti corali, come “No Activity”. Con Emanuela Fanelli ci siamo trovate e divertite tantissimo, lavorando in grande leggerezza».
Più avanti la vedremo nella seconda stagione della serie “Studio Battaglia”: «Torno nei panni di Carla Morini, una signora molto ricca con un marito molto ricco che vuole divorziare da lei a sua insaputa. La faccio breve: alla fine del divorzio lei prende centomila euro al mese e vendica tutte le donne tradite e maltrattate d’Italia. Un personaggio talmente commentato sui social che mi hanno rivoluta nella nuova stagione, in cui posso dire soltanto che diventerò vittima dei social».
Il suo rapporto con i social è minimo: «Limitato a Instagram. Un giorno un amico mi chiede: “Perché hai messo un gatto nero come foto profilo?”. Lì ho capito di essere stata hackerata. Ho dovuto aprire un altro profilo, dove pubblico le cose che faccio, seguo le persone che mi interessano, però non uso TikTok, X e compagnia, non sono così tecnologica. Non demonizzo i social, ma bisogna saperli usare. Io perderei troppo tempo». Tempo che preferisce impiegare in attività che le diano armonia: «Ho scoperto che mi piace molto camminare, ho un tapis roulant in casa e cammino molto. Vorrei fare yoga con più costanza, ma finisce che mi iscrivo, vado due volte e poi dico: “Scusate, mi è morta nonna, non posso più venire”». Per il resto sente di stare vivendo un bel momento: «Mi sento fortunata, non posso lamentarmi di nulla, cosa posso volere di più? Prendo parte a progetti che mi piacciono, continuo a guardarmi intorno con curiosità, le cose mi stanno andando più che bene».