Misteri d'Italia
Dopo trent'anni non è ancora risolto il mistero sull'ultima casa dei fratelli Graviano
Filippo Graviano al momento dell'arresto aveva in tasca le chiavi di un appartamento in centro a Milano. Chi lo aveva fornito? E cosa custodiva? Nessuno lo cercò e il mazzo fu restituito ai familiari. Così manca un tassello sulle verità dei boss delle stragi
Una chiave che apre un appartamento. In centro, a Milano. Dietro quella porta chiusa sta il segreto che Giuseppe e Filippo Graviano, i due boss stragisti palermitani, arrestati nel capoluogo lombardo il 27 gennaio di 30 anni fa, nascondono gelosamente. E usano, dosando abilmente accuse e smentite sulla loro favolosa latitanza e sulle eccezionali coperture, alludendo, neanche troppo velatamente, all’entourage di Silvio Berlusconi e al presunto affare comune da 20 miliardi di lire, per sostenerne l’ascesa imprenditoriale.
La chiave, non certamente di un hotel, è in un mazzo con altre che è stato restituito ai familiari dei due fratelli poco dopo l’arresto dei congiunti bloccati al ristorante “Gigi il Cacciatore” di via Procaccini, in compagnia delle fidanzate, poi diventate mogli. Sul perché sia accaduto ciò che sembra un incredibile assist ai capi di Cosa nostra, è stato sempre fatto cadere un pietoso silenzio. «Perché di disguido si tratta e non di dolo». Così la raccontano a distanza di anni fonti ben informate che verificarono a posteriori cosa fosse successo. Un errore, certo, clamoroso, a voler credere alla buona fede, che però ha nascosto e nasconde da anni l’ultimo miglio della latitanza dei capimafia. Ovvero la casa nella quale hanno trascorso l’ultimo periodo della lunga vacanza da fuggiaschi di lusso lontano dalla Sicilia, tra Omegna, in Piemonte, la Costa Smeralda, e il capoluogo lombardo.
Quella casa non è mai stata perquisita perché non è mai stata trovata. E neppure cercata, visto che l’unico indizio era la chiave che gli investigatori dei carabinieri, e gli altri che hanno rispolverato le vecchie carte, riaprendo il fascicolo dell’arresto, si sono ritrovati tra i reperti. La storia ufficiale, in verità assai fumosa, della cattura dei due fratelli comincia a Palermo con una soffiata da parte di una fonte che è stata coperta e sulla quale i due fratelli hanno poi ragionato a voce alta anche davanti ai magistrati. Qualcuno, molto vicino ai loro avversari siciliani, nel quartiere Brancaccio, notò i preparativi di un frettoloso viaggio dell’infermiere Salvatore Spataro, della moglie e dei cognati, Giuseppe D’Agostino e consorte, genitori di un calciatore che bramava un ingaggio al Milan e che avevano deciso per questo di chiedere l’intercessione di Madre Natura, alias Giuseppe Graviano, per un lavoro a Milano, in modo da seguire da vicino il figlio. Seguendo Spataro che è uomo di fiducia dei colonnelli palermitani di Graviano, si sarebbe arrivati al latitante. Il pomeriggio del 27 gennaio l’infermiere e la moglie vengono visti con Giuseppe Graviano e la compagna Rosalia “Bibiana” Galdi. Le ore trascorrono con le due coppie che fanno shopping in via Montenapoleone, poi si separano. Giuseppe e Bibiana vanno al ristorante dove vengono raggiunti da un’altra coppia: Filippo Graviano e la fidanzata Francesca Buttitta. Quando scatta il blitz, in realtà i carabinieri non riconoscono Filippo che, come il fratello ha un falso documento. Solo che mentre Giuseppe è un volto noto, il sedicente Filippo Mango è uno sconosciuto. L’arcano si scioglierà in caserma. Accordatogli il permesso di avvisare madre e sorella alloggiate nell’elegante suite di un hotel che nei fatti gli appartiene, Giuseppe, con fare sprezzante, dirà a un militare di chiamare «il fratello per salutare la madre».
Sul loro soggiorno milanese, i Graviano hanno detto tanto ma non tutto. Giuseppe, il politico di famiglia, ha accennato a un appartamento a Milano 3 lasciando intendere che glielo avesse offerto qualcuno vicino a Berlusconi. Di Marcello Dell’Utri è stato sempre attento a non dire nulla che suonasse come un’accusa. Cortesie tra adepti. Nulla invece sull’appartamento di cui certamente i due fratelli disponevano a Milano. Perché se Giuseppe Graviano e compagna arrivarono in taxi dopo il pomeriggio di shopping, Filippo e fidanzata arrivarono invece a piedi come se non fossero giunti da lontano. In soccorso di questa ricostruzione c’è la testimonianza di uno che li conosce bene: il pentito Gaspare Spatuzza che ha parlato di un appartamento in un viale alberato la cui descrizione corrisponde a Corso Sempione, non lontano da via Procaccini. E le chiavi erano nelle tasche di Filippo. Per ammissione dello stesso Giuseppe Graviano, lui non temeva affatto un arresto: «A Milano facevo una vita normale, ero circondato da una copertura favolosa». E sono pochi i testimoni che vedendo le foto dell’epoca che pubblichiamo in queste pagine si sono fatti avanti: un coiffeur aveva acconciato Bibiana Galdi e un tassista aveva trasportato la coppia. Un po’ poco, dopo trent’anni per risalire all’appartamento dei due a Milano. Sarebbe stato prezioso scoprirlo allora per quel che conteneva e ancora oggi per risalire al proprietario e magari all’affittuario che poi lo mise a disposizione. Servirebbe qualcosa alla Chi l’ha visto?.
Del resto, il diavolo, si sa, è nei dettagli. O, se preferite, nelle omissioni. Di atti mancati, di perquisizioni rinviate o eluse è piena la recente storia del contrasto a Cosa nostra. A partire dall’arresto di Totò Riina, catturato a un chilometro dalla casa-covo dove i carabinieri entrarono solo 17 giorni dopo. Fu bloccato nel traffico di Palermo, il 15 gennaio del 1993, e non raggiunse mai il summit che, se interrotto, avrebbe anticipato di anni la cattura dei principali boss stragisti.
È iniziato e si è concluso invece alla clinica dove era andato a curarsi il blitz, il 16 gennaio del 2023, per la cattura di Matteo Messina Denaro. Per questo, l’individuazione dei suoi nascondigli e l’arresto dei suoi favoreggiatori è stato un cammino a ritroso per rintracciare tracce dei segreti che il padrino si è portato nella tomba. E che anche i Graviano si tengono ben stretti. Magari sperando in un’altra chiave che prima o poi gli apra le porte del carcere. Tanto più che dopo l’arresto di Riina le stragi continuarono a Roma, Firenze e Milano proprio grazie a loro: era la strategia della tensione a impronta mafiosa mentre il vecchio sistema politico crollava definitivamente. Gli eccidi sono cessati solo in quel gennaio 1994. Il fallito attentato all’Olimpico a Roma è il penultimo atto. Poi, dice Giuseppe Graviano, «mi hanno arrestato e sono finite tutte cose».