Cose preziose
Con l'ossessione per il corpo perfetto il potere addomestica la nostra mente
Lo stigma sulle fisicità che non rispondono a canoni di perfezione e il controllo sociale sull'apparenza è prova del fallimento di un discorso comune
«Carne dentro una specie di fragile collant», scriveva a proposito del corpo David Foster Wallace in Roger Federer come esperienza religiosa. Oggi quel fragile collant è diventato la nostra ossessione, e forse all’anno che viene sarebbe bello chiedere che si affievolisca almeno un po’. So benissimo che dovremmo chiedere molto altro: dal cessate il fuoco in Medio Oriente al tramonto di Putin, da un impegno non di facciata per l’emergenza climatica, per il lavoro, per la sanità, per la scuola fino al remake di Io e Annie di Woody Allen dove non Marshall McLuhan ma John Ronald Reuel Tolkien interrompe il discorso di Giorgia Meloni ad Atreju per dirle che non ha capito una virgola della sua opera. Intanto, però, si potrebbe cominciare dalla fine dello stigma sui corpi e del controllo sociale su quelli ritenuti poco virtuosi.
Qualche giorno fa, Oprah Winfrey si è rivelata al pubblico nuovamente magra, dopo 25 anni, ha detto, di ludibrio, vergogna e colpevolizzazione. Oggi, racconta, prende l’ultimo pasto alle quattro di pomeriggio, è a dieta perenne, assume farmaci, fa circolare le sue foto del prima e del dopo. Ecco, sarebbe sbagliato sottovalutare la cultura della dieta di cui Winfrey è portatrice e vittima: perché è il segno che qualcosa non va, come gli orologi che battono tredici colpi nell’inizio di 1984 di George Orwell. Anche se ripetiamo che «tutti i corpi sono belli», un intero sistema mediatico e narrativo ci dice l’esatto contrario, assicurandoci che, per certificarci come sociali, dobbiamo essere perfetti.
Il corpo è ormai la nostra ossessione nel tempo in cui quel che contano sono i nostri corpi immateriali, opportunamente abbelliti e filtrati e con il giusto sfondo. Lo studiamo, lo giudichiamo. Sprechiamo milioni di parole sulle occhiaie di Chiara Ferragni nel video post-pandoro. Aspettiamo Sanremo per poter postare su Facebook squisite malignità sulle cantanti che si sono sottoposte a lifting. Persino, commentiamo giulivi i pantaloni della presidente del Consiglio mentre accogliamo con indifferenza le sue gravissime affermazioni fatte, sempre ad Atreju, su Roberto Saviano.
I nostri corpi coincidono con il nostro valore sociale: e non mi pare che qualcuno (con un’eccezione) abbia citato il Michel Foucault di Sorvegliare e punire in proposito, mentre sono tutti pronti a evocare malamente Guy Debord solo perché il suo titolo più celebre, La società dello spettacolo, ci sembra perfetto proprio mentre continuiamo a partecipare a quello stesso spettacolo. Invece, il controllo sociale dei corpi è una delle prove del fallimento di un discorso comune. Lo ha scritto sul New York Times Jennifer Weiner: «Invece di provare a cambiare noi stessi, abbiamo avuto la possibilità di cambiare il mondo», ma ha vinto il richiamo delle sirene – Oprah è di nuovo magra, quindi anche io posso dimagrire.
Dunque, l’ultima cosa preziosa dell’anno è Corpi ribelli, storie umane di rivoluzione, curato per Sperling&Kupfer dall’antropologa Giulia Paganelli (su Instagram si chiama @evastaizitta e lavora incessantemente sulla grassofobia). Lei cita Foucault, per esempio: e ci dice che, sì, l’addomesticamento sociale si concentra sul corpo “sbagliato”, ma tassello dopo tassello costruisce una conformità che non riguarda solo i corpi. Qualunque sia il vostro, abbiate un anno felice.