Cultura
18 luglio, 2025Un buon romanzo può fornirci un altro sguardo sulle cose, ma è difficile capire se ha ancora senso in una società che produce ovunque segni e parole in modo forsennato
La nostra società ha bisogno di scrittori? E, nel caso, a che serve questa creatura polimorfe e ubiqua, capace di riprodursi in modo vorticoso e libero? (Pare che ogni autore, grazie ai corsi di scrittura, stage e tutorial sul web, ne generi a sua volta una decina al mese). Chissà. In un mondo destinato all’estinzione dei viventi, forse la nostra anomala specie di trans-umani transumanti sopravviverà grazie al suo aumento prodigioso di natalità (peraltro incoraggiato da un sistema famelico di editoria & premi a pagamento) e alla sua resistenza organica, potenziata dalle continue presentazioni di libri. E al suo irriducibile amore di sé, che è sempre una forza conservativa. Forse sopravviveremo, i transuman(t)i, grazie al potere trasformativo dei nostri prodotti, destinati a una serialità infinita e convertibili in ogni sistema, format e gadget, dalle pagine agli schermi e podcast? O sarà l’intelligenza artificiale, coi suoi romanzi ben assemblati e colti a liberare l’umanità dal peso invadente e funesto di noi scrittori e scrittrici, dispersi e sciamanti tra stazioni e aeroporti, locandine e locande, in lotta col tempo e i ritardi, alla ricerca dell’ultimo lettore, dell’ultimo treno, dell’ultimo post e ultimo posto, in metro, affranti e inebetiti? E frastornati, soprattutto, da un dubbio pesante e rumoroso, che si inceppa come un trolley dalle rotelle guaste. La nostra irrilevanza.
A che serve tutto questo – non solo presentare i libri, ma anche scriverli pubblicarli promuoverli e amarli in un Paese dove non si legge quasi più, nell’indifferenza ma anche ostracismo, spesso, delle istituzioni? A cosa serve un romanzo, in un Pianeta squassato su tutti i fronti, tra guerre, stragi e scempi ambientali, centrato sul riarmo come strumento di difesa? A denunciare guasti o trasmettere valori, come credevano in tanti, da Vittorini a Ortese, da Pasolini a Sciascia? A indagare la macchina sociale e la sua psicologia? – come sosteneva Flaubert – o a suscitare “un’esplosione stellare della mente”, secondo l’idea di Nabokov? Per fare ordine nel caos, come auspicava Calvino?
Io ho sempre creduto che un buon romanzo potesse fornirci un altro sguardo sulle cose, come un lampo o un rintocco di altrovità, nel senso dell’altrove, l’istante di un battito d’ali, o una campana di paese a mezzodì. Un’altra lingua, di parole nuove e dissepolte, manomesse o rinverginate. Questo cerco, da lettrice e autrice. Ma ha ancora senso oggi, in una società che produce ovunque segni e parole in modo forsennato, in una proliferazione incontrastata sul web (che è il nostro ambiente naturale) di annunci e notizie e analisi dove non è distinguibile il vero dal falso, la notizia dal fake, la fonte dal racconto? E l’informazione dalla pubblicità, il pubblico dal privato, l’annuncio dalla truffa?
Io sono una boomer, e nella realtà che praticavo da cronista, nella vita e nella redazione, trent’anni fa, la divisione di questi campi era netta e sorvegliata, perché il confine non era solo professionale ma soprattutto etico. Ok, la letteratura è altro, cioè invenzione, mistificazione, manomissione del mondo. Ma non abitiamo già, assediati e assedianti, un ambiente ad alta fusione di gioco e dramma e contraffazione continua, tra narrazione mediatica, contenuti Ai e vicende geopolitiche? Cosa può aggiungere un romanzo a questa scrittura delle cose, in un mondo che è già un ipertesto, e distopia? Torno a quella parola, irrilevanza – suona persino leggera, reversibile, nella sua tragica fatalità. (Ah, il potere sonoro e evocativo del linguaggio!).Che vita può avere oggi un romanzo se chi l’ha scritto non ha uno sciame di follower, perché non è capace, o non dedica tempo ai social, alla tecno-cura di sé come para-influencer, prodotto commerciale, icona portatile, brand, faro di pensiero? Se preferisce nuotare e leggere, viaggiare e andare sull’Etna, e blaterare dal vivo con gli amici, piantare cactus e aloe (adoro le piante grasse e la talea) e studiare, ammetto, per contrastare l’ignoranza di ritorno, che mi inquieta?
Sono arrivata, fra poco scenderò dal treno. Ultima domanda, in un pezzo pieno di domande: dove smaltirlo, il trolley fuori uso, essendo fatto di plastica, stoffa e acciaio?
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