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«I giganti del web diventano sempre più ricchi, ma sono i contribuenti a pagare gli oneri della digitalizzazione»
La crescita delle Big Tech non si arresterà finché potranno sfruttare la fiscalità agevolata e meccanismi che moltiplicano la liquidità. Una ricchezza che non risente di guerre, pandemia e inflazione. Ma che non porta nulla alle tasche dei cittadini
L’indagine dell’area studi di Mediobanca sull’andamento nei primi nove mesi del 2023 dei 25 maggiori gruppi mondiali Software & Web rileva che i giganti del WebSoft hanno incrementato, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, il volume di affari del 10,6% (il commercio mondiale del 2%), hanno aumentato la redditività operativa del 31,5% e gli utili netti del 46,4%. Nel 2022, il loro complessivo volume di affari è stato di 1.792,00 miliardi di euro, con una crescita del 64% rispetto al 2019-2022. Nel 2023 i loro ricavi saranno pari al 100% del Pil italiano.
Il 70% del fatturato è generato negli Stati Uniti da Amazon, da Google e da Microsoft, il 26% da quelli cinesi e il 4% in altri Paesi. Un terzo circa dell’utile è tassato nei Paesi con fiscalità agevolata, con un risparmio fiscale calcolato dall’area studi di Mediobanca di 13,6 miliardi nel 2022 e di 50,7 miliardi cumulati tra il 2020 e il 2022. Tutte le società americane (eccetto Microsoft e Ibm) hanno la sede nello Stato del Delaware (Usa), quelle cinesi nelle isole Cayman (Inghilterra), entrambi noti come paradisi fiscali.
Il trend di questi colossi del capitale finanziario contraddice chi sostiene che ci troviamo di fronte alla crisi della globalizzazione in tutto l’Occidente, cominciata con la caduta del muro di Berlino e per effetto del Covid, dell’inflazione e della guerra. L’espansione del business tramite la via dell’etere (Web) non va in questa direzione. La sua dirompente crescita, fintantoché questi giganti avranno la possibilità di sfruttare la fiscalità agevolata, non si fermerà di fronte a qualsiasi fenomeno negativo che incida sulla stabilità del mondo. Gli accordi tra le grandi potenze frutto della geopolitica sono del tutto estranei alla regolamentazione della evoluzione del business che si diffonde sulle reti web.
Il rialzo dei tassi di interesse e la restrizione della liquidità, decisi dalla Fed e dalla Bce, non hanno alcuna influenza sulle loro attività. La massa degli utili e la bassa tassazione hanno consentito a questi colossi di migliorare, nonostante l’inflazione e la guerra in Ucraina, l’ammontare della liquidità, che nei primi nove mesi del 2023 si attesta a 691 miliardi, a fronte di debiti stazionari di 632,9 miliardi. La liquidità aumenta in modo più che proporzionale all’espansione degli affari per il meccanismo che regola il loro business. I clienti pagano le merci all’ordine, mentre gli acquisti dai fornitori a scadenza. Il lasso temporale che intercorre tra gli incassi e i pagamenti è un moltiplicatore della liquidità. Le tecnologie digitali e la logistica informatizzata, attraverso la standardizzazione del commercio dei beni e dei servizi, garantiscono loro una debordante forza finanziaria (e forse politica).
La sussistenza della fiscalità agevolata è una manna caduta dal cielo che alimenta la forza degli strumenti del capitale finanziario. È poca cosa che l’Ue abbia stabilito di applicare dal 2025 la global tax del 15% sui ricavi delle multinazionali sopra i 20 miliardi di euro, mentre gli Stati Uniti e l’Inghilterra continuano a fare finta che i paradisi fiscali dello Stato del Delaware e delle isole Cayman non siano cosa loro. In Occidente l’espansione delle vie dell’etere, stanti così le cose, diminuisce l’apporto dell’aumento negli affari dei giganti del Web alla fiscalità degli Stati, mentre accolla ai contribuenti (persone fisiche) gli oneri della transizione ecologica e della digitalizzazione.