Dalle prime domande porta a porta alle raffinate tecniche di rilevamento odierne, la storia di George Gallup racconta l’evoluzione dei sondaggi politici negli Stati Uniti. Nato come giornalista appassionato, Gallup introdusse un metodo scientifico che permise di prevedere l’esito di elezioni cruciali, segnando una svolta epocale.

Il figlio del lattaio aveva una grande passione per football e giornalismo. Ad ogni consegna metteva al corrente i clienti dei fatti più importanti della cittadina di Jefferson City, Iowa.Quando andò al liceo George Gallup, per tutti Ted, fondò un giornale e dunque decise di studiare seriamente giornalismo all’Università dell’Iowa a Des Moines. Trascorreva l’estate a fare domande alla gente in giro per lo stato, raccogliendo informazioni utili per poi scrivere le sue storie. Era bravo con le parole, al punto che un’importante agenzia pubblicitaria gli offrì un lavoro. La celebre Young&Rubicam. Aveva 30 anni George quando la suocera, Ola Babcock Miller, si mise in testa di candidarsi al ruolo di Segretaria di Stato. Anno 1932, Iowa. Al massimo le donne ambivano al ruolo di capo cuoca o roba del genere. Ola Miller chiese aiuto a George e quello, con la mania delle interviste, andò in giro a fare un po’ di domande. Quando tornò le disse: “Vincerai le elezioni con un margine enorme”.

Fu la prima donna Segretario di Stato nella storia degli USA. E George Gallup il primo sondaggista di professione. Pochi anni dopo, nel 1936, grazie a un campione di 50.000 intervistati, Gallup anticipò senza alcuna esitazione la vittoria di Franklyn D. Roosvelt su Alf Landon nella corsa alla Casa Bianca. Era nata una stella.

Quasi un secolo dopo i sondaggi politici sono diventati parte integrante di ogni campagna presidenziale. Ne scandiscono il passo, ne determinano gli umori. Non necessariamente sono anche attendibili, la storia recente americana dice l’esatto contrario, eppure non ne possiamo fare a meno. Sebbene anche i più esperti strateghi della politica ne diffidino, non se ne perdono neppure uno. Sono un po’ come gli oroscopi. Non si sa mai.

Da quando ha preso il via ufficialmente la sfida Harris vs. Trump, negli Stati Uniti sono stati commissionati 907 sondaggi, che hanno impegnato 147 diverse agenzie di rilevamento. Le persone coinvolte da questi indagini sono oltre 821.000 in rappresentanza di 44 stati. Al momento in cui scrivo, la media percentuale della sfida presidenziale vedrebbe la Harris in vantaggio su Trump 48.8% contro 47.7%. Un nulla.

La fonte è “Gallup”, forse la più affidabile delle agenzie di sondaggi, nata proprio da genio di George.

Naturalmente il sistema di rilevamento non è più quello del rudimentale “porta a porta”. Anche l’utilizzo del telefono sembra ormai al tramonto. Le ricerche si effettuano attraverso questionari su internet, messaggi di posta elettronica e interazioni virtuali. I dati raccolti vengono poi riesaminati in base all’etnia del soggetto, all’area geografica, al livello di educazione, al gender eccetera eccetera. Alla fine le informazioni finiscono mescolate da un frullatore di algoritmi e il gioco è fatto. Per modo di dire.

Ci sono infatti buone possibilità di scoprire in quale contea Trump non avrà nessun tipo di problema, oppure lo stato in cui Kamala vincerà a mani basse. Ma se volete sapere chi sarà il prossimo presidente, nessun sondaggista metterà mai la mano sul fuoco su uno dei due nomi, finché non si sarà scrutinata fino all’ultima scheda nei sette swing state, quelli indecisi all’inverosimile, Arizona, Nevada, North Carolina, Pennsylvania, Michigan, Ohio e Georgia.

Più affidabili sembra che siano le case da gioco, che ogni quattro anni prevedono con una certa precisione il vincitore basandosi sulle puntate degli scommettitori. Fino al 7 ottobre Kamala Harris sembrava lanciata verso un trionfo sicuro. Ma nelle ultime due settimane il vecchio Donald ha messo a segno una clamorosa rimonta. La casa per scommesse Polymarket ha fatto registrare negli ultimi sette giorni un incremento esponenziale di scommesse in cripto valute che assegnerebbero all’ex Presidente un vantaggio considerevole.

Ma una settimana o giù di lì dal voto vale un’era geologica in una campagna presidenziale. Da qui al 5 novembre sono attesi decine di nuovi sondaggi, scarti di strategia, colpi di scena e chissà quant’altro. Che i sondaggi siano materia scivolosa, fu lo stesso George Gallup ha capirlo in modo brutale. Accadde nel 1948 quando George era già una celebrità. Preconizzò con una certa supponenza che il repubblicano Thomas Dewey avrebbe battuto il democratico Harry Truman con un margine compreso tra il 5 e i 15%. Il Chicago Tribune uscì in edicola col titolo: “Dewey sconfigge Truman”. Peccato che Truman l’avesse spuntata col 4.5% di vantaggio.

Gallup si giustificò dicendo che aveva interrotto i rilevamenti a una settimana dal voto perché nessuno era convinto che Truman recuperasse.

Con un disavanzo di poco superiore all’1% tra Harris e Trump, più che a un sondaggista è il momento di affidarsi alla provvidenza.