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dicembre, 2024

Piano Mattei, pochi soldi e tanti forse

Gli entusiasmi del governo Meloni per i progetti con gli Stati africani si sono spenti. E la prima relazione alle Camere apre nuovi interrogativi sulle coperture finanziarie: fanno tutte le aziende controllate e partecipate dallo stato. Altro che 600 milioni per i primi progetti

Neppure la propaganda di governo è stata convincente sul “Piano Mattei” per l’Africa: «Oltre 600 milioni di euro per cominciare». Fatto il titolo con l’inganno (ma quali 600 milioni di euro!), il governo Meloni ha archiviato subito, fra uno sbadiglio e un forse ma anche, la prima relazione alle Camere sul Piano Mattei, una trentina di pagine noiose e soprattutto lacunose, una manciata di pensierini elementari, una pennellata di geopolitica spicciola, una carrellata di schedine incomplete, vecchi progetti cassati, nuovi progetti senza soldi. A un mese da Natale e con l’inverno che scoraggia le traversate per mare, il tema Africa, legato al tema migranti, ai confini, al fare non «predatorio», al motto «aiutiamoli a casa loro», è un tema fuori stagione. E poi le elezioni sono troppo lontane. E la fallimentare operazione Albania è troppo vicina. Poiché il governo Meloni ha scarso piacere a parlare del Piano Mattei, conviene parlarne nel dettaglio. Un breve riepilogo per annodare l’ultima relazione alle puntate precedenti.

Come i lettori de L’Espresso sanno, il Piano Mattei fu il primo vagito del governo Meloni. Un modo scaltro per proiettare l’Italia in una dimensione internazionale in una zona di sua competenza geografica, il continente africano, evocando la disciplina di Enrico Mattei, il fondatore di Eni, così elaborata da Giorgia Meloni: ricevere molta energia di vario tipo; ricambiare col supporto in diversi settori (salute, trasporti, agricoltura, commercio, rinnovabili eccetera). Tutto assai ragionevole. E l’ispirazione è in parte tratta dal piano di Mario Draghi che, durante il suo governo, fu costretto a ripiegare in Algeria e Tunisia e poi giù nella fascia subsahariana per procacciarsi metano e petrolio alternativi alle forniture russe interrotte per la guerra in Ucraina. Tutto assai complesso.

Per instaurare rapporti forti con questi paesi africani ricchi di risorse naturali, a prova di interferenze straniere (leggasi russi, cinesi, ma pure europei in concorrenza con Roma), c’è bisogno di tanto denaro e l’Italia di denaro ne ha poco. La stessa operazione Albania dei centri di rimpatrio dei migranti ne ha drenato, e potremmo dire “sprecato”, parecchio attingendo dal Fondo per gli Interventi Strutturali di Politica Economica, dal Fondo per le Esigenze Indifferibili, dagli accantonamenti dei ministeri per 80 milioni di euro nel 2024 e 120 milioni nel 2025 conservati nel Fondo Riserva Speciale e nel Fondo da Ripartire.

Il Piano Mattei per i desideri su carta, spalmati lungo un quadriennio, ha a disposizione 5,5 miliardi di euro, circa 3 miliardi dal Fondo per il Clima allocato al ministero dell’Ambiente e circa 2,5 miliardi di euro per la Cooperazione Internazionale che da sempre, no, non è una novità del governo Meloni (si scherza), è di competenza del ministero degli Esteri. La relazione sul “Piano Mattei”, depositata alle Camere e firmata Meloni, fa riferimento a 21 schede, cioè 21 progetti già avviati o prossimi per 9 «nazioni». Al momento le 21 schede, a essere generosi, impegnano 285 milioni di euro fra classiche donazioni e crediti di aiuto (nient’altro che prestiti). Invece i nuovi protagonisti del Piano Mattei sono le società/aziende partecipate o controllate dallo Stato che relegano il governo a un ruolo ancillare, marginale, di affiancamento quando va bene.

Palazzo Chigi è consapevole, però, di non poter incidere da sola sulla crescita africana e, con saggezza, va detto, si è accodata a progetti internazionali già incardinati e ha introdotto altri «strumenti finanziari». Due esempi. L’Italia si è fatta promotrice di un fondo multilaterale con uno stanziamento di 120 milioni di euro attraverso il Fondo per il Clima (100 milioni), il ministero dell’Ambiente (10 milioni), il ministero degli Esteri (10 milioni). A questo fondo, da qui la definizione di multilaterale, partecipano gli Emirati Arabi Uniti con 25 milioni. Inoltre l’Italia ha riattivato un fondo bilaterale, già esistente con la Banca Africana per lo Sviluppo, per concedere prestiti a tassi agevolati alle imprese che vorranno investire.

Ciò premesso, è utile passare in rassegna alcuni progetti inseriti nel Piano Mattei. In Algeria ce ne sono due: uno è di Bonifiche Ferraresi e del governo algerino, col sostegno finanziario di Simest, e riguarda il «recupero di terreni semiaridi per la produzione agricola» con l’ambizione di offrire lavoro a 6.000 algerini, l’altro è l’istituzione di un «centro di formazione professionale a vocazione regionale», indefiniti i costi e chi li copre.

In Costa d’Avorio ci sono due progetti ordinari di Cooperazione Internazionale per l’istruzione primaria e la sanità pubblica per un totale di 64 milioni di euro, però 30 sono un prestito. Il terzo progetto per il «rafforzamento delle filiere agricole» è fissato al secondo semestre del prossimo anno, ignoto il fabbisogno finanziario e il ruolo di Sace. Per l’Egitto è rimasta unicamente la «scuola italiana di ospitalità di Hurghada», peraltro inaugurata un mese fa. La scuola è stata realizzata da Pickalbatros, una catena alberghiera egiziana. Il governo di Roma contribuisce con una spedizione di docenti italiani. «Si fa presente che per l’Egitto - scrive il servizio studi di Camera e Senato - il Piano Mattei prevedeva un progetto pilota nel settore agricolo». Scomparso.

In Etiopia si bonifica il lago di Boye con 25 milioni di euro ricavati dalla Cooperazione internazionale (metà in prestito), mentre è incerto l’apporto italiano per la riforma universitaria di Addis Abeba: manca l’ammontare dei soldi. In Kenya è in corso l’ampliamento della produzione di olio vegetale per biocarburanti. L’esecuzione è del gruppo Eni, il denaro arriva dal Fondo per il Clima (75 milioni) e dalla Banca Mondiale (135 milioni). In Marocco la Fondazione Enel vuole aprire un «centro di formazione sulle energie rinnovabili e la transizione energetica» e la società italiana Dedalus, con la collaborazione diagnostica dell’ospedale Gaslini, è la protagonista del «rafforzamento della telemedicina».

In Mozambico ci sarà un polo agroalimentare nella provincia di Manica, se ne occupa il governo locale, l’Italia fa una donazione di 3 milioni di euro e altri 35 li presta. Un prezioso progetto da 300 milioni di euro per la bonifica delle acque interessa la città di Brazzaville, Repubblica del Congo. Per adesso si mira a concludere lo studio di fattibilità entro il 2025, ancora da scoprire la copertura finanziaria.

In Tunisia c’è un progetto del gruppo Terna per «un centro per la formazione e l’accelerazione tecnologica a favore di aziende innovative del settore energetico». Poi il governo di Roma ha aderito a 4 progetti regionali o transnazionali. Il più grosso è il «corridoio di Lobito», una ferrovia che collega Luacano in Angola e Chingola in Zambia per facilitare il trasporto di minerali e raccolti riducendo l’inquinamento.

Nella relazione si spiega che «inizialmente la partecipazione finanziaria italiana potrà ammontare fino a 200 milioni di dollari». I servizi studi di Camera e Senato annotano per i parlamentari: «Si valuti l’opportunità di chiedere chiarimenti sul punto». E non lo annotano una volta sola. Il punto più ricorrente del Piano Mattei è il punto interrogativo.

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