Due produttori del calibro di Spielberg e Winfrey. Un regista africano. Un cast che punta sul talento e non sulla bellezza. Così il classico della letteratura black degli anni Ottanta parla al pubblico del Duemilaventi

E due. Dopo il “West Side Story” riallineato da Spielberg ai dettami del presente, torna in chiave musical anche “Il colore viola”. Stavolta Spielberg produce (con Oprah Winfrey, che esordì nel 1985 proprio nel film tratto dal libro di Alice Walker, ora riedito da Sur) ma non dirige. La regia è infatti di Blitz Bazawule, artista e musicista nato in Ghana, paese anglofono, che assicura al passaggio da Broadway a Hollywood un contagioso surplus di energia. E una scelta silenziosa ma decisiva: il talento prima della bellezza. L'adeguatezza prima del sex-appeal.

 

Traduzione: la povera Celie (Fantasia Barrino), la giovane ingravidata due volte dall'uomo che crede suo padre, due volte privata delle creature, infine venduta a un altro padre padrone detto Mister (Colman Domingo), non è una Venere, come non lo era Whoopi Goldberg. Ma non è una bellezza neanche Sofia (Danielle Brooks), la nuora che paga cara la sua sfida al potere dei maschi, bianchi o neri poco importa. 

 

E non lo è, scelta meno ovvia, neanche Shug (Taraji P. Henson), la cantante figlia di un predicatore che tutti temono e adorano per la voce, la carica erotica, la libertà con cui sceglie gli amanti. Un concentrato di fascino e seduzione che non concede nulla allo sguardo maschile e ai suoi cliché. Ma porta in orbita questo musical costellato di numeri travolgenti, che non rivoluzionerà la settima arte - sarebbe bello se l'ondata black rivelasse anche sguardi meno educati – ma esibisce una consapevolezza insolita nel cinema mainstream. 

 

Con buona pace dei soliti censori camuffati da libertari, pronti a bollare come elusivo l'accenno al breve amore tra Celie e Shug. Ma insensibili a un dettaglio prezioso, anche per la causa: il film che le due donne vanno a vedere insieme, “The Flying Ace”, 1926, esempio di quel cinema fatto da neri per i neri («with an all-colored cast») cui l'America tagliò presto le gambe. La battaglia era agli inizi. Oggi l'asticella è più in alto. Il cinema afro non vuole più solo il “suo” pubblico, Lo vuole tutto. E anche se qui il finale paga pegno, se lo merita.

 

IL COLORE VIOLA
di Blitz Bazawule
Usa, 141'

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