L'occupazione aumenta, ma non si accompagna all'incremento della qualità dei fattori nel settore manifatturiero e del Pil. In questo modo, nemmeno le retribuzioni saliranno. Ecco perché

In Italia, gli occupati al 31 dicembre 2023 sono 23.754.000, rispetto ai 22.839.000 del 2020, con un incremento di 916 mila unità. L’aumento di 456 mila unità pari al 50% del totale, registrato nel 2023, coinvolge uomini, donne e tutte le classi di età, a eccezione delle persone da 35 a 49 anni. Il tasso di occupazione ha raggiunto la quota del 61,9%. Nonostante l’incremento del tasso di inattività del 33,2%, il tasso dei senza lavoro è diminuito. Il conseguimento di tale risultato conferisce particolare soddisfazione al governo. Non poteva essere che così, dato l’andamento riflessivo dell’economia italiana e mondiale. Il Pil, tuttavia, resta inferiore di 4 punti percentuali a quello riscontrato prima della crisi finanziaria internazionale del 2008.

 

Di recente, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha dato una spiegazione sostenendo che «la nostra economia soffre da oltre un decennio della stagnazione della produttività del lavoro, a fronte di un aumento dell’1% nel resto dell’Eurozona». Tutto ciò viene attribuito alla deludente dinamica dei guadagni di efficienza derivanti dalle nuove tecnologie, dall’innovazione e dalla valorizzazione delle risorse umane. L’aumento di 456.000 occupati nel solo 2023, rispetto ai 916 mila del quadriennio 2020-2023, essendo stato conseguito in un periodo di alta inflazione (mediamente più del 7%) e di elevati tassi di interesse praticati dalla Bce per riportare l’inflazione al 2%, appare un rebus. In effetti, in  periodi di crisi di questa natura l’occupazione è diminuita e non di poco.

 

È vero che il 2022 e il 2023 sono stati funestati dall’inflazione e dalla stretta creditizia, ma è vero altresì che si è registrata una consistente crescita della spesa pubblica per attutire il peso dei maggiori costi energetici e per sostenere i consumi. Nel 2022, l’indebitamento pubblico è aumentato di 71 miliardi di euro e nel 2023 di 75,8 miliardi, al netto dell’incremento della spesa per il servizio del debito dello Stato. La spesa pubblica, in presenza di elevata inflazione e di alti tassi di interesse, ha contribuito a riattivare il flusso circolare di un’economia statica, utilizzando le possibilità occupazionali offerte, da un lato, dal Superbonus (che costa allo Stato 16,5 miliardi annui netti per un quinquennio) e, dall’altro, dall’eccezionale afflusso del turismo dopo la stagnazione durante il periodo del Covid.

 

La scomposizione della crescita dell’occupazione di 916 mila unità nel periodo 2020-2023 conforta tale interpretazione. Si stima, infatti, che nell’industria la maggiore occupazione sia stata di 210 mila unità, mentre nelle costruzioni, nel commercio e nel turismo, è stimata rispettivamente di 217 mila unità, di 213 mila e di 278 mila. In un periodo di stagnazione, con elevata inflazione e alti tassi di interesse, la diminuzione della produzione industriale del settore manifatturiero rilevata dall’Istat per il 2023 al 2,5%, unitamente alla crescita di 456 mila occupati rispetto ai 916 mila del 2020-2023, contribuisce a spiegare il positivo andamento dell’occupazione, senza alcun effetto sulla produttività dei fattori e sul Pil.

 

Sono l’innovazione di ciclo e di prodotto e le nuove combinazioni produttive dell’industria manifatturiera che qualificano un sistema economico dinamico e che innalzano la produttività di un Paese. Se l’occupazione non aumenta in modo massiccio nei settori manifatturieri, superando anche le attuali difficoltà a reperire mano d’opera specializzata, non ci sarà modo di rilevare aumenti di produttività dei fattori e delle retribuzioni, non solo di quelle dell’industria, ma anche di quelle di tutti gli altri settori economici.