Dai teatri alle case delle donne. Dalle palestre popolari alle occupazioni abitative. Nella Capitale i luoghi autogestiti sono a rischio. Colpa in molti casi di Comune e Regione

Gli spazi della cultura a Roma sono sotto attacco, e non da oggi. La crisi viene da lontano e le responsabilità riguardano giunte comunali e regionali di colori diversi: dalla politica dell’ordine di Gianni Alemanno alla guerra del Movimento 5 Stelle ai beni comuni e agli spazi autogestiti. Dalla giunta regionale targata Nicola Zingaretti, che ha provato a sistemarne alcuni (senza riuscirci), al nuovo centrodestra di Francesco Rocca, che ora ha la strada spianata per bandi, sgomberi e nuove assegnazioni. Mentre il sindaco Roberto Gualtieri e l’assessorato alla Cultura sono usciti malconci dalla gestione delle nomine al Teatro di Roma, oggi sembra che molte tensioni stiano esplodendo.

 

«Il ragionamento collettivo non riguarda solo il Teatro di Roma, ma la questione degli spazi culturali di questa città, mai risolta», dice  Lorenza Accardo, che fa parte di Campo Innocente, rete di collettivi di art workers che si è mobilitata dopo la nomina a direttore di Luca De Fusco. Nel 2021 hanno occupato il Globe Theater di Roma, oggi chiuso e a rischio abbattimento nonostante le 30 mila firme raccolte per salvarlo. Non è un caso isolato: la mappatura in costante aggiornamento di “Fattiditeatro” – già citata nell’inchiesta di Francesca De Sanctis su L’Espresso – conta cinquanta teatri e spazi dello spettacolo chiusi solo nella capitale negli ultimi anni. Tra questi palchi noti e importanti a livello nazionale come il Valle, l’Eliseo, il Mattatoio, il Globe. E oggi a rischio ci sono anche hub di alta formazione pubblici come l’Officina delle Arti Pasolini, l’ex Civis, un progetto della Regione Lazio del 2014 finanziato da fondi europei e gestito da DiSCo, Ente regionale per il diritto allo studio. «Dall’inizio di questo percorso che ha portato la precedente giunta della Regione Lazio a cedere inspiegabilmente questa preziosa struttura (a titolo gratuito al ministero degli Affari esteri, ndr), abbiamo segnalato l’errore gravissimo», ha scritto in una lettera agli studenti Tosca, direttrice artistica di Officina Pasolini. «Sostituire gli alloggi con uffici, cementificare lo spazio verde, ridurre un’area bellissima a foresteria e parcheggi per auto blu è semplicemente uno spreco di denaro pubblico e un’azione insensata», sottolinea Pierfrancesco Nacca, attore ed ex allievo, che ha partecipato alla mobilitazione per chiedere al ministro degli Esteri Antonio Tajani di tornare indietro. 

 

Ma la scomparsa dei teatri è solo la punta dell’iceberg: ci sono anche gli spazi sociali e informali di cui Roma è ricchissima, tanto che l’urbanista Carlo Cellamare l’ha descritta come “La città fai-da-te” (Donzelli): le case delle donne, le palestre popolari, le occupazioni abitative, molte delle quali, se non sono ancora  sgomberate o fallite, rischiano ogni giorno di soccombere. Gli strumenti prodotti negli ultimi dieci anni, come il nuovo Regolamento sull’utilizzo degli spazi sociali nel Comune di Roma, la delibera 104 del 2022 che sostituisce la vecchia delibera 140 del 2016 che aveva portato alla chiusura di molti spazi negli anni precedenti, non li hanno tutelati: tra questi, occupazioni come il Brancaleone a Montesacro, quartiere a nord est di Roma, che a luglio si è visto revocare la Scia (Segnalazione Certificata Inizio Attività) per l’immobile di proprietà di Roma Capitale, nonostante gli oltre trent’anni di sforzi da parte dei cittadini per rigenerare un luogo sicuro e ricco di attività culturali;  il centro culturale Esc Atelier di San Lorenzo, il lago ex Snia, area verde di 14 ettari che dovrebbe  diventare un polo logistico. Ma anche spazi di quartiere come il Teatro della Dodicesima di Spinaceto, nella periferia sud di Roma, un’ex scuola abbandonata e riqualificata vent’anni fa: «Ci è arrivata la lettera di riacquisizione dei locali contro la quale abbiamo fatto ricorso. Abbiamo vinto», spiega Massimo Mattei Otranto, direttore artistico del Teatro. «A maggio del 2020 il Comune ci manda la richiesta di pagamento tramite una Pec. Ce ne accorgiamo quando nel 2022 l’Agenzia della riscossione ci presenta la cartella di pagamento di 670 mila euro». E nella stessa situazione c’è la Palestra Popolare di San Lorenzo che si è vista aumentare il canone dell’80 per cento. 

Zone contese
Beni comuni, l'Italia resta a geometria variabile
20-02-2024

Si tratta di esperienze che hanno rigenerato pezzi abbandonati della città, sottraendoli all’interesse privato e speculativo. E anche a chi ha cercato di sviluppare percorsi condivisi con le istituzioni, non è andata meglio. È il caso della casa delle donne Lucha Y Siesta: luogo di accoglienza, polo culturale di prevenzione e contrasto della violenza di genere, di elaborazione politica e formazione unico per le sue caratteristiche. Ex Sottostazione Cecafumo di proprietà di Atac, l’edificio di via Lucio Sestio 10 è rimasto abbandonato per anni. Nel 2008 è stato occupato e nel 2019, con la giunta di centrosinistra di Nicola Zingaretti – che lo ha acquistato – si è avviato un percorso di progettazione partecipata per renderla un bene comune, ma con il cambio del colore politico tutto è precipitato: «Siamo appena state assolte dal processo che ci accusava di aver occupato illecitamente e Atac, che si era costituita come parte civile, si è ritirata. Questo fa capire che le giustificazioni che ha trovato il presidente Francesco Rocca, per impedire la convenzione che era stata stipulata con la Regione, non stanno in piedi», spiega Simona Ammerata, socia fondatrice di Lucha Y Siesta. «Questa è una scelta tutta politica che non c’entra niente con i passaggi legislativi, istituzionali e normativi. È un fatto ideologico».

 

Ma anche Spin Time Labs, un palazzo di nove piani in pieno centro nel cuore del quartiere Esquilino, dove vivono quattrocento abitanti di 26 nazionalità differenti. Sette piani destinati alle abitazioni, due alle attività culturali e a decine di servizi. Un punto di riferimento per la lotta per il diritto all’abitare e modello di integrazione sociale studiato in Europa per la radicale apertura nei confronti del quartiere e della città. Rischia di essere sgomberato nonostante sia stato inserito un anno fa nel Piano casa, in cui il Comune di Roma (sindaco Gualtieri) prometteva di acquistare l’immobile – oggi di proprietà di Investire sgr – per preservare l’esperienza. «Piantedosi vuole ridurre Spin Time a un problema di ordine pubblico. Mentre il Comune sta un po’ balbettando, perché anche se abbiamo notizie informali di un dialogo tra la proprietà e l’amministrazione, non siamo mai stati convocati ufficialmente sull’ipotesi della regolarizzazione», racconta Andrea Alzetta di Action, che ha occupato l’ex sede dell’Istituto di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica nel 2013. «È su questi spazi che si gioca il destino culturale e politico della città e la preservazione del suo spazio pubblico», spiegano all’unisono. «Se la sinistra non difende questi spazi, la destra diventerà davvero invincibile, perché anche una certa cultura politica scomparirà».