Una lettrice ci scrive definendosi nostalgica del periodo in cui l'impegno politico era centrale. Ma in realtà proprio in quegli anni ci sono le radici di tanti problemi del presente. Dalla rubrica delle lettere a L'Espresso

Cara Rossini,

sono una nostalgica degli anni Settanta e Ottanta e di quello che hanno rappresentato. Me li ricordo con la loro complessità, autenticità, schiettezza e coraggio. Erano gli anni in cui Giorgio Gaber cantava: «C’è solo la strada su cui puoi contare. La strada è l’unica salvezza…». Diversamente oggi, nell’epoca dei social, non c’è l’altro davanti a noi, non c’è il sentito a fior di pelle, non ci sono emozioni, non c’è né dialogo né contraddittorio, anche se feroce. Non c’è un guardarsi negli occhi o, anche, un pianto o un bel sorriso. Erano quelli gli anni in cui «il personale è politico» e si narrava la coerenza e l’impegno perché fosse così per ognuno di noi. L’altro, il diverso da noi, andava ascoltato, accolto, e se sbagliava andava persuaso che un altro mondo era possibile.

Rita Vincenza

 

La risposta di Stefania Rossini
Cara lettrice, io e lei (che immagino più o meno mia coetanea) conserviamo di quei decenni impressioni un po’ diverse. È vero che negli anni Settanta, mentre Gaber cantava il suo inno alla strada, cioè alla libertà, migliaia di ragazzi avevano trovato il modo di stare insieme per scontrarsi con un mondo lento e antiquato riuscendo a scuoterlo e a rinnovarlo. Ed è anche vero che, sull’onda del Sessantotto appena passato, si vissero i resti di una passione politica profonda che alimentò la democrazia e spianò la strada alla conquista dei grandi diritti civili.

Ma va anche detto che l’altro, il diverso come lei lo definisce, quasi mai veniva ascoltato e persuaso, tanto che il decennio finì con la tragedia della violenza terroristica, degli omicidi mirati e dell’assassinio di Aldo Moro. E fu così, per la legge del contrasto, che si entrò nel periodo più vacuo e futile del secolo. Gli anni Ottanta videro infatti l’esordio del disimpegno sociale, della politica senza visione, dell’arrivismo sfrenato. Una marcia indietro su tutti i fronti che fu presto chiamata «riflusso». Un periodo che si aprì con la strage alla stazione di Bologna, che annichilì il Paese, e con la marcia dei 40 mila quadri Fiat a Torino, che pose fine alla grande stagione delle lotte sindacali. Un decennio grigio che si illuminò soltanto delle luci notturne della «Milano da bere» e che vanta l’esordio del valore dell’edonismo e della celebrazione del denaro, non importa come accumulato.

Che l’oggi sia persino peggiore non c’è dubbio, ma laggiù ci sono molte radici del nostro presente. Riconosco, comunque, che ognuno ha la propria età dell’oro (che in genere coincide con i vent’anni) e quindi che ognuno ha il diritto ai propri ricordi. E mi scopro a invidiare i suoi.

 

Per scrivere a L'Espresso: stefania.rossini@lespresso.it