Da dopo la pandemia le iniziative a tutela del benessere psicologico in Italia si sono moltiplicate e il tema non è più considerato un tabù. Ma senza un quadro unitario è difficile orientarsi. Ecco qual è la situazione

Fino a prima del Covid era un tabù. Ma negli ultimi anni (per fortuna) la tutela della salute mentale è entrata a pieno titolo nel dibattito nazionale. Soprattutto grazie all’impegno dei più giovani che dalle piazze del Paese hanno chiesto che il diritto a stare bene fosse per tutti e non solo chi può permetterselo. Hanno condiviso sui social stati d’animo, momenti bui di vita quotidiana e percorsi di guarigione. Proposto di istituire presidi psicologici in ogni scuola e ogni università per comprendere e prevenire il disagio prima che diventi malattia grave.

 

I risultati della battaglia per la salvaguardia del benessere psicologico, che in breve tempo ha coinvolto larghe fasce di popolazione visto il malessere diffuso, certificato da molti studi post pandemia, stanno arrivando. Ma l’assenza di una legge nazionale fa sì che le iniziative si sovrappongano, generando confusione per i cittadini e differenze di accesso ai servizi sulla base dell’età, dell’ateneo, dell’istituto superiore che si frequenta, ad esempio. O del territorio di appartenenza.

 

Dalla fine del 2023 a oggi sono undici le Regioni italiane - Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia - che hanno attivato il servizio dello psicologo di base. Cioè il cui sistema sanitario locale, attraverso le Asl del territorio, ha assunto gli psicologi a cui il cittadino può rivolgersi gratuitamente per la prima assenza, la fase di ascolto e counseling, proprio come succede in tutta Italia con il medico di base.

 

Ma per il primo livello di assistenza psicologica manca una normativa nazionale. E così un quadro unico a definire le modalità di erogazione del servizio, come la durata, i fondi dedicati, il numero dei professionisti a disposizione dei cittadini. Anche se una proposta di legge per uniformare la situazione in tutto il Paese c’è ma è ferma in Parlamento: il disegno che raccoglie anche i precedenti è stato presentato dal vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera Luciano Ciocchetti di Fratelli d’Italia e adottato come testo unico lo scorso novembre.

 

Non c’è confusione, però, solo sullo psicologo di base. Anche i presidi psicologici dentro gli istituti superiori e università non hanno una norma nazionale a cui fare riferimento: la proposta di legge “Chiedimi come sto” con cui gli studenti (Rete degli studenti medi e Unione degli universitari) chiedevano che fossero istituiti in tutte le scuole e gli atenei del Paese, presentata a marzo dell’anno scorso, non ha avuto seguito per ora. Così le strutture del sapere si sono organizzate autonomamente sulla base delle risorse proprie e dei fondi messi a bando dal Miur per attivare servizi per il benessere psicologico. Ma senza garanzia di uniformità.

 

«L’urgenza del bisogno ha fatto sì che gli psicologi entrassero nelle Asl e nelle scuole da basso, come risposta alle necessità concrete delle persone. Così gli atenei e le Regioni, ad esempio, che sono più vicini ai cittadini si sono mossi primi. Ma per organizzare e ottimizzare le risorse, per creare una rete funzionale, in grado di prevenire e intercettare precocemente il disagio è fondamentale la definizione di un quadro nazionale», spiega David Lazzari, presidente dell’Ordine degli psicologi. Che da tempo si batte per la costruzione di una legge che regolamenti la figura dello psicologo di base in tutto il Paese.

 

Secondo Lazzari, però, non basta: oltre a creare la rete di assistenza primaria per il counseling, il sostegno e prevenzione del disagio, per ora assente a livello strutturale ma lasciata all’iniziativa di enti e istituzioni locali, «sarebbe importante anche potenziare la rete pubblica degli specialisti, che esiste già ma che riesce ad accogliere solo una minima parte di cittadini che hanno bisogno della psicoterapia, il trattamento più efficace per i disturbi più comuni». Per cui oggi, come si capisce da un’analisi condotta dall’Ordine degli Psicologi con l’istituto di ricerca Piepoli, 5 milioni di italiani non ricevono aiuto psicologico pur avendone necessità perché non hanno le risorse economiche che servirebbero. «Paradossalmente - conclude Lazzari - l’unico aiuto in questo senso è il bonus psicologo».

 

La misura che sostiene le persone residenti in Italia in stato di ansia, stress, depressione, fragilità psicologica che intendono beneficiare di un percorso psicoterapeutico con un contributo fino a 50 euro per ogni seduta, con soglie massime totali calcolate in base all’Isee. Introdotta dopo la pandemia, nel 2021, ma diventata strutturale con la legge di bilancio del 2023.

 

Che, però, fa fatica a tradursi in pratica concreta: nel 2022 la circolare Inps con le istruzioni per beneficiare del bonus psicologo è arrivata a luglio, con più di 6 mesi di ritardo. Mentre le informazioni necessarie ai cittadini per accedere ai dieci milioni stanziati per il 2023 sono state pubblicate dall’Istituto nazionale della previdenza sociale solo a febbraio del 2024, pochi giorni fa, dando la possibilità a chi vorrà usufruire del servizio di presentare la domanda  dal prossimo 18 marzo (fino al 31 maggio). Per il 2024 con il decreto milleproroghe le risorse a disposizione per il bonus psicologo sono aumentate da 8 a 10 milioni, speriamo si riescano a utilizzare in tempo.