Il piano di ripresa e resilienza mette un po' di soldi in quest’area, ma davvero troppo pochi per sperare in qualche impatto rilevante. Il bilancio Ue, ad esmepio, non finanzia il Cern

Giorni fa ho visitato il Cern, il più grande laboratorio mondiale per lo studio delle particelle, ossia delle componenti più piccole dell’universo. È al Cern, finanziato da 23 Paesi, quasi tutti membri dell’Unione europea, e diretto dall’italiana Fabiola Gianotti, che qualche anno fa è stata verificata empiricamente l’esistenza del bosone di Higgs, senza il quale la materia di cui siamo fatti, a partire dagli atomi, non esisterebbe. Sento già qualcuno ironizzare: «Ah, dunque, abbiamo verificato empiricamente che esistiamo!». Beh, abbiamo verificato che la teoria fisica (il “modello”) con cui abbiamo interpretato il mondo finora è confermata dagli esperimenti, il che non è cosa da poco. E nel fare questo abbiamo imparato tante altre cose. Dico questo per giungere a un punto essenziale: le risorse investite in quest’area sono ben spese. Ce ne vorrebbero di più.

 

Non parlo solo del Cern, ma delle risorse che i Paesi europei investono per la ricerca scientifica. Il tema è fondamentale anche alla luce di una tendenza economica preoccupante: la minore crescita della produttività (cioè di quanto si produce, per esempio, in un’ora di lavoro) che si sta registrando nei Paesi avanzati al di qua e al di là dell’Atlantico.

 

Da sempre la crescita della produttività è strettamente legata al progresso scientifico. Il boom produttivo registrato nel XX secolo (per esempio, negli Stati Uniti la produttività aumentò a un tasso medio annuo del 2% tra il 1920 e il 1970) è figlio delle scoperte scientifiche dei decenni precedenti a partire dalle equazioni sulle onde elettromagnetiche, dalla teoria della relatività, dalla meccanica quantistica. Negli ultimi decenni il progresso scientifico è continuato, basti pensare ai risultati raggiunti dalla information and communication technology, compreso lo sviluppo della intelligenza artificiale. Ma sembrerebbero progressi inferiori a quelli del passato, almeno a giudicare dall’andamento della produttività: negli ultimi venticinque anni è cresciuta negli Stati Uniti, ancora il Paese tecnologicamente più avanzato, solo dello 0,4% l’anno.

 

Occorre fare meglio. Si potrà obiettare che gli effetti della ricerca di base si vedono solo nel lungo periodo. Non è così: ci sono ricadute rapide di attività come quelle del Cern. Il World Wide Web è nato al Cern, gli studi svolti al Cern consentono di sviluppare terapie per i tumori, di migliorare le tecnologie di diagnostica medica per immagini, di trasportare elettricità con sprechi minimi. Ma se anche i risultati fossero solo di lungo periodo, non sarebbero meno importanti. Per esempio, una delle principali attività del Cern è studiare i risultati di “scontri” di particelle ad altissima velocità. Per guidare e confinare queste particelle in spazi ristretti sono necessari potentissimi campi magnetici. Tali campi sono anche necessari per arrivare alla fusione nucleare per uso civile, il cui raggiungimento risolverebbe il problema di avere una fonte di energia pulita a basso costo.

 

Tutto questo ci dice che dobbiamo investire di più nella ricerca. Il Pnrr mette un po’ di soldi in quest’area, ma davvero pochi. Il discorso vale per l’Italia e per l’Europa: il bilancio dell’Unione europea, per esempio, non finanzia attualmente il Cern. Occorre essere lungimiranti, quindi, e investire di più sulla conoscenza, da cui in ultima analisi dipende il nostro futuro.