Le vie della letteratura sono infinite, e a volte creano intrecci e incroci imprevisti. Così succede sempre più spesso che gli eroi dell’antica Grecia diventino icone dei migranti di oggi: con buona pace di chi ha reagito con rabbia a una newsletter Arabopolis che sottolineava le radici anatoliche del mitico Enea e, probabilmente, anche degli etruschi. Un incrocio simile è al centro di “Kalavrìa”, il film di Cristina Mantis, fresco di presentazione al Bif&st di Bari, che trasporta il viaggio dell’eroe greco nel Mediterraneo di oggi e il suo approdo presso i Feaci, ultima tappa delle sue traversìe, nella Calabria del naufragio di Cutro e della Riace di Domenico Lucano.
Le peregrinazioni di Ulisse rivivono nel viaggio in Calabria di un moderno Nessuno (per richiamare il gioco di parole con cui Ulisse beffa Polifemo, dopo averlo accecato), un migrante spiaggiato sulla costa della Calabria, che percorre tra incontri reali e allucinazioni colte. Le parole dell’epica si mescolano a quelle della quotidianità, gli accampamenti dei migranti alle rovine grecoromane, gli elicotteri ai telai di legno – discendenti diretti di quello usato da Penelope per la sua leggendaria tela.
I paesaggi sono bellissimi (la fotografia è di Fabio Olmi), avvolgenti le musiche di Cataldo Perri e Alexandros Halalis, già collaboratore di Mantis nel documentario precedente, “Redemption Song”, sulle traversìe di un musicista migrante in Italia. Il moderno Ulisse ha il volto fascinoso ed enigmatico di Ivan Franek, attore ceco già visto in tanti film italiani (“La grande bellezza”, “Brucio nel vento”, “Noi credevamo”).
Gli incontri ripetono il ritmo dell’Odissea, come stazioni di un’esperienza di riconoscimento del nuovo mondo: Circe (Agnese Ricchi, anche produttrice con Ganesh Produzioni) che si aggira per un anfiteatro in rovina, Pitagora (Domenico Pantano, attore e direttore artistico del Centro Teatrale Meridionale), e poi una donna che parla con i gabbiani, un griot sperduto tra le baracche, un musicista greco (Hahalis) che vuole riunire le terre calabre della Magna Grecia con la madrepatria.
Il film ha l’andamento di un documentario ma mescola realtà e cultura, “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro e i ricordi dell’emigrazione raccolti nel museo di Francavilla. C’è anche un “cameo” per la ‘ndrangheta che, ci ricorda il novello Ulisse, deve il suo nome al greco, al binomio “androi agathoi”, uomini di valore. Una etimologia che si scontra con le cronache insanguinate degli ultimi decenni: un modo per ricordarci che, per quanto affascinante, il passato deve essere sempre riletto con sguardo critico e alla luce del presente.