Interessi in conflitto
Per i magistrati amministrativi è ricominciata l'età dell'incarico d'oro
I vecchi arbitrati resuscitati sotto mentite spoglie. Poi docenze, presidenze di comitati ed enti. Incarichi extra che gonfiano i guadagni con scarsa trasparenza
Di Carlo Santelli, almeno, si sa. Grazie al suo incarico di presidente del collegio consultivo tecnico per l’appalto della ferrovia Palermo-Catania, vinto da un consorzio guidato da Webuild, si sa che potrebbe mettersi in tasca nei prossimi tre anni un bonus da un milione e 588 mila euro. Sempre in teoria, s’intende: 529 mila di quota fissa e un milione e 59 mila di quota variabile, calcola. Come sette anni e rotti di stipendio. Ma in più rispetto alla paga di presidente di sezione del Consiglio di Stato qual è Santelli.
È il miracolo del nuovo Codice degli Appalti, che ha fatto rinascere sotto mentite spoglie i vecchi arbitrati, come denunciano sul sito Primogrado i magistrati Silvana Bini e Stefano Mielli. Era una specie di giustizia privata che dava soprattutto ai consiglieri di Stato più influenti il potere di dirimere a pagamento le controversie sugli appalti pubblici, incassando parcelle astronomiche. Con lo Stato, ironia della sorte, soccombente nel 95 per cento dei casi. Nel 2012 la legge Anticorruzione che porta il nome di Paola Severino aveva archiviato questo scandalo vietando tassativamente gli arbitrati a tutti i magistrati e i funzionari pubblici. O così sembrava. Finché il governo di Giuseppe Conte – essendo capo del suo ufficio legislativo il consigliere di Stato Ermanno De Francisco – ha inventato i «collegi consultivi tecnici», simili in tutto a collegi arbitrali, ma con un altro nome, per prevenire le liti evitando quindi i soliti intoppi. La presidenza di quei collegi, ovviamente a pagamento, spetta a un funzionario pubblico: preferibilmente un magistrato del Consiglio di Stato o del Tar. Esattamente come nei vecchi arbitrati, con la differenza che qui i soldi corrono per tutta la durata dell’opera, e non solo per una controversia. I collegi consultivi dovevano restare in vita un solo anno. Poi sono stati prorogati. E il nuovo Codice degli appalti targato Matteo Salvini, ma scritto da consiglieri di Stato coordinati dal presidente di sezione Luigi Carbone, li ha resi eterni e per di più obbligatori in tutti i contratti sopra la soglia europea di 5 milioni e spicci. Bingo!
Risultato, si è aperto letteralmente un vaso di Pandora. Una pioggia incessante di denaro dal mondo delle costruzioni si sta riversando sui magistrati del Consiglio di Stato e dei Tar. Dall’inizio del 2023 la febbre dei collegi consultivi tecnici sta salendo in modo frenetico. Più di 80 incarichi sono stati distribuiti a questi giudici dall’organo di autogoverno. Compreso il suo presidente Luigi Maruotti e compresi pure l’ex esperto legislativo di Conte, De Francisco, nonché la mente del nuovo Codice, Carbone. Le stime dei compensi vanno da qualche migliaio di euro per gli appalti minori e arrivano a cinque o a sei zeri per quelli più grandi. Senza, però, che per molti di questi 80 incarichi si sappia fin da subito, come sarebbe logico, quanti denari arriveranno ai beneficiari.
Fino a quando a Palazzo Spada non arriva un rompiscatole. «Questa tendenza a non far sapere quanto si guadagna non fa onore alla magistratura amministrativa. È richiesto dire quanto si guadagna? Allora si dica!». Come spesso gli capita durante le riunioni del plenum del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, l’avvocato Giangiacomo Palazzolo non rispetta il galateo di casta.
Poco meno di un anno fa il Senato lo ha eletto in rappresentanza dell’opposizione (Azione di Carlo Calenda) membro laico dell’organo di autogoverno della giustizia amministrativa. Dettaglio non trascurabile: per nove anni è stato sindaco di Cinisi, il paese di Peppino Impastato, l’animatore di Radio Aut assassinato nel 1978 per ordine del boss mafioso Tano Badalamenti. Esperienza al cui confronto le diatribe su certi privilegi dei magistrati amministrativi sono una passeggiata di salute. Così Palazzolo debutta la scorsa estate traumatizzando molti fra i suoi nuovi colleghi. Ricorda a tutti, durante una riunione del plenum, che una regola scritta da loro stessi vieta la concessione di incarichi extragiudiziali a chi l’anno precedente ha incassato da incarichi simili una somma superiore al 65 per cento dello stipendio da magistrato. E il re è improvvisamente nudo. Perché in quel piccolo Csm, dove si decidono gli incarichi extragiudiziali pagati a parte anche da imprese e soggetti privati sui quali talvolta i giudici dei Tar e del Consiglio di Stato devono pure emettere sentenze, si parla di soldi per la maggior parte del tempo. Ore su ore vengono impiegate a discutere di come quegli incarichi vadano distribuiti. Ascoltare le registrazioni di Radio Radicale, che trasmette le riunioni in diretta, lascia di stucco. Anche perché degli importi che garantiscono ai destinatari – gli unici dipendenti pubblici autorizzati da una legge del 1993, partorita nel crepuscolo della Prima Repubblica, a integrare privatamente la non trascurabile paga statale – se ne parla il meno possibile. E spesso quel 65 per cento svanisce in curiosi funambolismi, con la formula che il compenso è «da determinare». Tanto inflessibili sono questi giudici nell’applicare leggi e regolamenti agli altri, quanto comprensivi sono con sé stessi.
Capita così che il 6 dicembre 2023 viene negata al presidente di sezione del Consiglio di Stato Raffaele Grecol’autorizzazione a far parte del comitato di supervisione dell’Agenzia spaziale europea. Perché «alla luce di carte che non conoscevo», informa il segretario generale Gabriele Carlotti, emerge che il comitato del collegio consultivo tecnico del quale Greco fa parte nell’ottobre 2022 gli avrebbe «liquidato 308 mila euro, ma non ancora erogato, mentre nel 2023 dichiara di aver percepito 114 mila euro». Però «non è chiaro se 114 mila più 308 mila o 114 mila come parte dei 308 mila», dice con il microfono aperto della diretta radiofonica…
Ma non ci sono soltanto i collegi consultivi tecnici. Ci sono le docenze, letteralmente un diluvio, pagate da società private. Ci sono i comitati di sorveglianza delle imprese in amministrazione straordinaria. Ci sono gli incarichi nella giustizia sportiva o in altri enti: dove l’incarico al magistrato amministrativo è previsto da una legge materialmente scritta da magistrati amministrativi. In due anni e mezzo, dal 1° gennaio 2021 al 30 giugno 2023, quel mondo che conta circa 500 giudici ha collezionato 772 incarichi extragiudiziali. Assegnati a 263 di loro. Molti dei quali lautamente retribuiti da pubbliche amministrazioni, ma anche da enti e società private. In media, tre a testa.
C’è un presidente di sezione al Tar di Milano, Gabriele Nunziata, che ne svolge cinque contemporaneamente oltre al lavoro d’ufficio. Tre presidenze di collegi consultivi tecnici, l’incarico di giudice tributario a Napoli e una consulenza con la Regione Campania per espressa richiesta del presidente Vincenzo De Luca. Alla richiesta del sesto incarico, una delle componenti del Consiglio di presidenza allarga: «Mi chiedo come sia compatibile quel numero di incarichi, anche per il prestigio della magistratura amministrativa…». E la richiesta non passa.
Soprattutto, c’è un numero abnorme di fuori ruolo: magistrati che non fanno i magistrati perché chiamati a ricoprire incarichi di governo. Sono 24, a un passo dal limite massimo di 26. «Una situazione al limite della sostenibilità», l’ha definita Maruotti. C’è perfino un magistrato in aspettativa perché nel giugno 2022 è stato eletto sindaco di Nola, città di 34 mila abitanti in provincia di Napoli, con una coalizione fra Pd e M5S. È il consigliere di Stato Carlo Buonauro. E poi dicono che la giustizia italiana è in crisi.