Pane al pane
Carlo Cottarelli: «Perché l'Italia dovrebbe prendere lezioni dal Portogallo»
Ci servono riforme per crescere, aumenti della spesa minori a quelli delle entrate, miglioramento dell’avanzo primario. Missione non impossibile. Invece, quando le cose vanno meglio, si inizia a discutere di tesoretti. Prendiamo allora esempio da Lisbona
A metà aprile il governo pubblicherà il Documento di Economia e Finanza in cui rivedrà le previsioni di produzione, inflazione e conti pubblici per i prossimi tre anni. Occorrerà riconoscere che il Pil sta crescendo meno del previsto sia per la minore dinamica della produzione sia per la minore inflazione. Con un Pil più basso, le entrate dello Stato saranno meno di quelle messe a bilancio quest’anno, gonfiando il deficit (la differenza tra spese e entrate). È quindi probabile che il debito pubblico sia un po’ più alto del previsto (dato che il debito aumenta in misura pari al deficit). E il debito già era alto: a fine 2023 si prevedeva un rapporto tra debito e Pil più o meno costante al 140% nel triennio 2024-2026, livello superato (a parte l’intervallo Covid) solo dopo la Prima Guerra mondiale.
Un debito pubblico alto è un problema: con un debito basso ci saremmo potuti evitare qualche crisi economica (tipo quella del 2011-2012). Non solo. La semplice possibilità che scoppi una crisi comporta che lo Stato italiano debba pagare un tasso di interesse più alto di quello pagato da Paesi a debito basso, come la Germania: lo spread, pur sceso, resta a un punto e mezzo. Con un debito di quasi 3.000 miliardi, uno spread a questo livello vuole dire 45 miliardi in più di spesa per interessi ogni anno, equivalenti a circa due terzi di quanto spendiamo per la pubblica istruzione. Il debito pubblico va quindi ridotto. Ma come? Ridurre il debito vuole dire austerità e l’austerità fa male alla crescita.
Che fare dunque? Una lezione la dà il Portogallo, lezione non nuova perché tanti Paesi avanzati hanno seguito lo stesso approccio negli anni ’90. Ma è un utile ripasso. Grazie alle riforme introdotte dal governo conservatore negli anni precedenti (tra cui la riduzione della burocrazia per facilitare gli investimenti), il governo socialista che vinse le elezioni nell’autunno 2015 si ritrovò un Paese capace di crescere.
Con una maggiore crescita le entrate dello Stato aumentarono e il governo di sinistra decise di risparmiare parte delle maggiori entrate, migliorando i conti pubblici, con avanzi primari (il bilancio al netto degli interessi) del 2-3% del Pil nel quadriennio seguente (correggendo per una grossa operazione di ricapitalizzazione bancaria nel 2017). Il migliore avanzo primario diede credibilità alla strategia del governo e lo spread scese (è ora la metà del nostro), riducendo la spesa per interessi. Con un avanzo primario consistente e la più bassa spesa per interessi, il deficit pubblico è migliorato, frenando la dinamica del debito. Il rapporto tra debito e Pil, quindi, è sceso per effetto sia della maggiore crescita del denominatore (il Pil) sia per il rallentamento del numeratore (il debito). Risultato: nonostante la crisi Covid, il rapporto tra debito e Pil dal 131% nel 2016 è previsto scendere quest’anno al 100%.
L’Italia dovrebbe fare lo stesso: riforme per crescere, aumenti della spesa minori a quelli delle entrate, miglioramento dell’avanzo primario. Non facile, ma non impossibile. Il problema però è che quando le cose (e talvolta accade) vanno meglio del previsto, le entrate crescono più dell’atteso e i conti migliorano, appare nel nostro dibattito pubblico una parola magica: tesoretto! E parte la discussione su come spenderlo. Se continua così, teniamoci il debito al 140% del Pil.