Pianeta a rischio
Cristiano Godano: «Chi nega il cambiamento climatico non sa cosa vuol dire vedere la neve sciogliersi ogni anno più presto»
Una lunga tournée insieme a Telmo Pievani per uno spettacolo sulla crisi dell'acqua. E l'allarme per l'inquinamento globale dell'ultimo disco dei Marlene Kuntz. Il frontman della band racconta come è nato il suo impegno per l'ambiente. A partire dall'allarme per l'inverno che sulle Alpi intorno a Cuneo dura molto meno di vent'anni fa
Mario Brunello che suona il violoncello in mezzo ai larici abbattuti per fare posto alla pista da bob di Cortina. Ludovico Einaudi al pianoforte tra frammenti di iceberg per sensibilizzare sugli effetti del cambiamento climatico. E Cristiano Godano in giro per l’Italia per un anno assieme a Telmo Pievani con un “Canto d’acqua” dedicato ad alluvioni, siccità e altre conseguenze dell’aumento della temperatura.
Che l'impegno per l'ambiente sia un dovere civico per un personaggio pubblico, Godano lo ha dichiarato con chiarezza tempo fa, ad Aversa, dal palco del Premio d'Aponte. E lo conferma in questa appassionata, generosa intervista: «Come musicista sento di avere la responsabilità di mettere la possibilità che ho di raggiungere il pubblico al servizio della scienza, per scuotere gli ignavi e spingerli a impegnarsi a favore dell’ambiente», spiega il frontman dei Marlene Kuntz. Che alla vigilia di una nuova tournée con il gruppo, dedicata al rilancio del disco d’esordio “Catartica”, fa il punto sullo spettacolo con Pievani e sul suo impegno ambientalista.
Com’è strutturato “Canto d’acqua”? E quando lo rivedremo?
«Non abbiamo nuove date per ora, ma siamo pronti a riprenderlo se c’è l’occasione. È molto semplice, senza struttura o scenografia: siamo noi due sul palco con le nostre rispettive competenze. Io alterno canzoni e racconti; e Telmo s’inserisce parlando a braccio – è davvero bravissimo – e spiega le cause scientifiche di quello che io racconto. Ho scritto su tre tragedie, reali o possibili, legate all’acqua e al cambiamento del clima. Sono tre accidenti capitati o futuribili nei quali l'umanità rischierà sempre di più di imbattersi, secondo quello che ci dice la scienza. Quando arrivo alla fine, il pubblico rimane impietrito, non sa se applaudire perché sarebbe come applaudire una tragedia: il crollo del saracco sulla Marmolada, l’annegamento di un migrante naufragato nel Mediterraneo o qualcuno che muore di caldo – la gente non lo sa, ma sono sempre di più le persone che nel mondo ogni anno muoiono letteralmente per colpa del caldo che aumenta».
Tre storie profondamente drammatiche, in effetti.
«Lo so, ne esco come una sorta di pessimista cosmico, però queste cose esistono e l’arte spesso si va a infilare in luoghi di narrazione che contengono proprio il desiderio di colpire. Spero di suscitare riflessioni e magari azioni. E sebbene io mi renda conto di poter contribuire pochissimo alla ricerca di una soluzione, è anche vero che una goccia sommata a un’altra alla fine crea oceani».
A che cosa è legato il suo impegno per l’ambiente?
«Al sentimento crescente di paura. Adesso chi sta dall’altra parte della barricata purtroppo deride quella che chiamano “ecoansia”. Ma se l’ecoansia esiste io sono un precursore, ne soffro da una quindicina d’anni. Vede, io vivo a Cuneo e qui è impossibile non vedere che il clima è cambiato e che ha portato problemi reali: soprattutto d’inverno, riguardo alla neve. Una volta si andava a sciare da fine novembre fino a Pasqua, ora si spera che si aprano ogni tanto delle finestre qua e là dove nevichi il giusto per poter fare un mesetto di sciate. La neve artificiale non mi sembra una buona idea, ma comunque ormai non attecchisce perché la temperatura è sempre sopra lo zero. Sono almeno 15 anni che mi inquieta quando a febbraio, nei prati di montagna, vedo le primule».
È il territorio raccontato da Nuto Revelli con le interviste ai contandini de "Il mondo dei vinti"; una zona passata in pochi decenni da una povertà agghiacciante al benessere. Che tracce ha lasciato sul paesaggio questo progresso?
«Io per fortuna non ho nulla della rabbia di un ecoterrorista, e non credo di aver mai vissuto una sorta di trauma nel percepire i cambiamenti di cui lei parla. Forse anche perché la mia zona, con le Alpi che digradano nelle colline di Alba, patrimonio dell'Unesco, è morfologicamente meno esposta a quei problemi di ingolfamento e di sovradimensionamento, di eccesso di strutture, che sono lampanti in altre regioni industrializzate in fretta. Intorno a me io o vedo ancora una componente ruspante della natura, non noto la presenza imbarazzante dell'attività umana volta a sfruttare tutto lo sfruttabile».
Qualche anno fa si era parlato molto di “E se smettessimo di fingere?” di Jonathan Franzen. Che proponeva: smettiamo di illuderci, non possiamo fermare il cambiamento climatico però possiamo fare qualcosa per salvare il giardino sotto casa nostra, e dobbiamo farlo. Lei cosa ne pensa?
«Mi sento molto in sintonia con lui, con l'dea di vivere l'impegno per l'ambiente e l'amore per la natura - lui è un grande conoscitore degli uccelli - con un senso di frustrata rassegnazione, quello che confluisce evidentemente in questo libro. Io penso la stessa cosa e anch'io con l'esperienza del Marlene Kuntz alla fine ho un po’ vissuto esattamente quello che dice: il fatto di poter fare qualcosa di micro. Va da sé che se tutti nel micro facessero la loro parte ovviamente potrebbe anche esserci un risultato a livello globale. Essere attenti e premurosi del micro, cioè nel proprio orto, lo vedo come un vantaggio per le comunità. Anche se magari distribuire i vantaggi delle singole comunità al contesto sociale mondiale forse è ancora utopistico».
Anche l’ultimo disco dei Marlene Kuntz, “Karma Clima”, parlava di ambiente e lo mostrava già dal titolo. C’è anche una canzone sui ricchi che progettano di vivere su Marte quando la Terra sarà da buttare…
«È un disco nato da una grande motivazione di tutti noi del gruppo, con un forte punto di vista ottimistico. Però, quando lo abbiamo annunciato, qualcuno ci ha detto che “stavamo salendo sul carro del vincitore”. Oggi ne rido, ma sono commenti che mi dettero estremamente fastidio, anche perché io non ho affatto la percezione che questo argomento sia mainstream, anzi mi sembra molto divisivo. La metà della popolazione italiana nega i cambiamenti climatici o fa l’indifferente. La destra cavalca la paura che venga eroso il proprio orticello: il benessere, la proprietà… Ora, io non sarei felice se venisse eroso quello che ho, è ovvio, e so che la “decrescita felice” è un’utopia. Però penso che stiamo producendo troppo, stiamo ingozzando il pianeta. Chi lo nega o è catturato dal negazionismo – “I bugiardi del clima” di Stella Levantesi lo racconta benissimo – oppure pensa che – come in quel grande film che è “Don’t look up” – chi è abbiente si salverà. Forse sì, ma si ritroverà come i ricchi e potenti alla fine del film: da solo, su un pianeta sconosciuto e in mezzo ad animali mai visti prima».