Il caso
Il bando Maeci per i progetti delle Università con Israele è scaduto. E ora che succede?
La possibilità per gli atenei di presentare progetti di ricerca congiunti con Tel Aviv si è chiusa: oltre a Torino anche Bari e la Scuola Normale hanno fatto sapere che non parteciperanno. Mentre si cerca di capire cosa faranno gli altri e se il bando sarà rinnovato
Ore 16.01, 10 aprile. Per le università italiane la possibilità di presentare progetti di ricerca congiunti con Israele, nelle aree previste dal bando (tecnologie per il suolo, per l’acqua e ottica di precisione) si è chiusa.
Dopo settimane di protesta, l’ultima è stata la più intensa, gli studenti restano in attesa di capire quello che succederà: chiedono che il bando Maeci, di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele, non venga rinnovato per il 2024, vista la situazione a Gaza e in Cisgiordania. Perché «l’università non deve entrare in guerra», «il sapere scientifico non è neutrale», «non vogliamo essere complici di uno stato sospettato di genocidio», hanno più volte spiegato non solo gli universitari ma anche il personale tecnico-amministrativo, i ricercatori, i dottorandi, i professori che vivono gli atenei tutti i giorni.
Dopo Torino, la prima università a scegliere di non partecipare al bando per il 2024, anche la Scuola Normale di Pisa e l’Università di Bari hanno deciso di dire no. Mentre le mobilitazioni proseguono nella maggior parte degli atenei: Milano, Siena, Padova, Ravenna, Forlì, Genova, Bologna, Roma, dove gli studenti avevano occupato il rettorato lo scorso 26 marzo. A Napoli, dove il rettorato dell’università Federico II è ancora occupato. A Firenze dove oltre 200 tra docenti, assegnisti, dottorandi e tecnici-amministrativi hanno sottoscritto un appello per chiedere ai propri rappresentanti di non aderire al bando. All’Università di Pisa dove tanti chiedono di seguire l’esempio della Normale.
Secondo Cambiare Rotta, l’organizzazione studentesca che sta guidando la maggior parte delle proteste nelle università del Paese, sono oltre 20 gli atenei in stato di agitazione, che per tutta la settimana, dal 3 al 10, hanno promosso presidi, flash mob e assemblee volti alla smilitarizzazione dei luoghi del sapere: «Il bando Maeci è soltanto la punta dell'iceberg rispetto ai tantissimi accordi che legano il nostro sistema formativo e la ricerca con i conflitti in corso in tutto il mondo, per questo è importante rilanciare la necessità del boicottaggio accademico in tutta Italia», hanno chiarito i membri dell’organizzazione in presidio davanti alla Farnesina il 9 aprile. Mentre una docente e uno studente sono riusciti a essere ricevuti da un funzionario del ministero degli Esteri. Hanno chiesto il ritiro del bando e la revisione degli accordi di ricerca scientifica per tecnologie ad uso duale, senza ricevere, per ora, risposta.
Non hanno ricevuto risposta anche tutti gli altri che si sono mobilitati contro il bando Maeci. In attesa di sapere se verrà rinnovato per il 2024, quanti atenei hanno aderito, se ci sarà una presa di posizione del governo oltre al giudizio già espresso dalla ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini che dagli Stati Uniti, dove è in missione internazionale, ha definito «inaccettabile», quello che sta succedendo negli atenei.
«Il 17 aprile abbiamo lanciato un nuovo appuntamento per studenti, docenti, ricercatori, personale tecnico amministrativo», fanno sapere dal coordinamento nazionale di Cambiare Rotta, perché «vogliamo dare vita a un dibattito profondo sulla situazione del sistema formativo. Che dovrebbe essere luogo di emancipazione e progresso. Non di riproduzione delle logiche di guerra, sfruttamento e oppressione».