Medio oriente in fiamme
Con l'ecocidio di Gaza, Israele ha cancellato ogni possibile futuro sulla Striscia
Medio oriente in fiamme
Con l'ecocidio di Gaza, Israele ha cancellato ogni possibile futuro sulla Striscia
L’operazione dell'esercito di Tel Aviv genererà effetti negativi per decenni su ambiente e vita. Oltre alla distruzione delle infrastrutture e al collasso dell’economia la regione farà i conti con l’inquinamento
Le immagini di quel che resta dell’Ospedale al-Shifa di Gaza City stanno facendo il giro del mondo. Il livello di devastazione, nella Striscia di Gaza, non ha paragoni rispetto alle operazioni militari israeliane del 2009, del 2012, del 2014 e degli ultimi anni. E della carestia dilagante, dopo l’ultimo rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification, ormai si conoscono anche i dettagli. Non è solo la fame di oggi, però, che attanaglia Gaza, ma anche il futuro. Per Forensic Architecture, gruppo interdisciplinare di ricerca fondato all’Università Goldsmiths di Londra dall’architetto israeliano Eyal Weizman, è tempo di parlare di «ecocidio», perché la ricaduta di questa operazione militare avrà effetti nei decenni a venire su tutto l’ambiente, sulla vita umana, su flora e fauna.
Al momento, essendo precluso un accesso sicuro a osservatori internazionali, è difficile raccogliere dati, ma esistono quelli delle operazioni militari precedenti da moltiplicare per ciò che accade oggi e tutte le agenzie stanno applicando parametri conservativi e per difetto nelle loro stime. Ocha, l’ufficio Onu per gli aiuti umanitari, stima che almeno il 60% delle case della Striscia sono state distrutte o danneggiate: significa che circa 1,2 milioni di persone non hanno più un posto dove tornare. I danni infrastrutturali a ospedali e centri medici sono superiori all’80%, quelli alla rete stradale vanno oltre il 60%. A questo si aggiunge la devastazione della rete idrica ed elettrica, di scuole e università, del porto di Gaza, dei servizi municipali in generale, in particolare nei governatorati di Nord Gaza, Gaza e Khan Younis. La Banca Mondiale ha stimato l’impatto economico dell’operazione militare israeliana, affermando che la distruzione è tale da avere sostanzialmente ridotto l’economia di Gaza a piccole isole di attività, scollegate tra di loro. Tutto è scarso e dove esiste scarsità c’è inflazione, ormai oltre il 30%, secondo stime sempre della Banca Mondiale. Chi ha qualcosa la vende al prezzo più alto possibile, per soddisfare altri bisogni. Chi ha potere, e denaro, ne ha sempre di più.
La quantità di macerie è immensa: serviranno anni solo per rimuoverle. E le macerie liberano polveri sottili, in particolare quelle di materiali scadenti che anni di blocco imposto alla Striscia (dal 2007 Israele blocca l’ingresso di tutto quello che ritiene «pericoloso») hanno reso prevalenti. Queste polveri vengono respirate, con conseguenze disastrose per la salute dei civili. La ricostruzione, quando e se avverrà, sarà per forza di cose appannaggio di chi ha il potere e ne accumulerà ancora di più. E l’inquinamento della terra, dei pascoli, degli allevamenti e delle coltivazioni sarà inimmaginabile. Per il Social Science Research Network, la ricostruzione genererà almeno 30 milioni di tonnellate di gas a effetto serra, l’equivalente di quanto emette in un anno la Nuova Zelanda. Il territorio della Striscia di Gaza risulta già particolarmente esposto agli effetti della crisi climatica: l’innalzamento del livello del mare erode la costa, mentre le ondate di caldo estremo e di siccità mettono in pericolo la sicurezza alimentare e le riserve idriche. L’ultima guerra ha reso la situazione disastrosa. La maggior parte dei terreni agricoli è stata distrutta, gli impatti del conflitto sulla salute potrebbero durare per decenni. I residenti saranno costretti a mangiare le bestie che sono allevate su quei terreni e le verdure che vi sono coltivate. Gli aiuti umanitari sono vitali, ma, come le stesse agenzie internazionali, tra cui l’Unrwa, sottolineano da tempo, permettono solo la sopravvivenza. Arrivano farina, cibo in scatola e poco altro. Nulla che possa sopperire ai bisogni nutrizionali minimi. Il che genererà malformazioni e malattie.
Si berrà, poi, acqua sempre più cattiva. Secondo l’Unicef, almeno la metà delle strutture idriche e igienico-sanitarie a Gaza è stata distrutta o danneggiata e circa il 70% delle persone beve acqua salinizzata o contaminata. Nella Striscia l’unica risorsa è costituita dalla falda acquifera costiera che risultava insufficiente a rispondere ai bisogni della popolazione già prima del 7 ottobre 2023. L’eccessivo utilizzo negli anni ha causato infiltrazioni d’acqua marina e di scarico: secondo l’Oms, il 90-95% dell’acqua è contaminata e inadatta al consumo umano. Il blocco della Striscia aveva già limitato l’ingresso di beni e materiali necessari per la manutenzione delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie esistenti e per la costruzione di nuove. Gli abitanti comprano acqua da soggetti privati a prezzi stellari e tutta l’area è sempre stata tra le più esposte a stress idrico al mondo, con conseguenti problemi di salute pubblica. E ancora non era cominciata l’ultima guerra.