L’intervento
Qual è il senso di usare la psichiatria per controllare i magistrati
L’idea dei test si inserisce nella tendenza di voler normalizzare e prevedere tutti i comportamenti, dai consumatori fino ai giudici. Un altro modo per rafforzare il potere
Mi sono interrogato in queste settimane circa la posizione che ritengo corretta sulla questione dei test psicologici per entrare in magistratura. Ovviamente, il dibattito in Italia è caratterizzato dalle opposte tifoserie. Una curva Nord, garantista, si contrappone ad una Sud, giustizialista. I tifosi della curva Nord, non di rado per ragioni pelose, protettive di potenti corrotti, cercano di delegittimare l’intera categoria dei magistrati, facendo di ogni erba un fascio e maramaldeggiando sui casi clamorosi à la Palamara. Per questi tifosi, prima di entrare in magistratura, i candidati dovrebbero esser sottoposti ad un test psicologico-attitudinale, visto come una specie di Tso. Sull’opposta curva Sud, si arroccano coloro che, da Tangentopoli in poi, considerano i magistrati come una fonte politica di progresso “a prescindere”, ed esultano ad ogni tintinnio di manette, soprattutto quando i destinatari politici sono quelli del fronte opposto. Per questi tifosi chiedere ad un magistrato di sottoporsi a un test psicologico è tanto offensivo quanto chiedere il certificato di laurea ad un esimio chirurgo che sta per operare.
Non ho immaginato le tifoserie come di destra o sinistra perché i due schieramenti non sono necessariamente contrapposti su quella linea. Tuttavia, tendenzialmente il centro-destra, insieme ad una maggioranza della avvocatura, invoca i test, mentre il centrosinistra è più giustizialista e li rifiuta (ovviamente insieme alla maggioranza corporativa dei magistrati).
Per prendere una posizione ragionata è bene porsi alcuni interrogativi preliminari. Servono i test per comprendere se un giovane futuro magistrato sarà sufficientemente equilibrato? Quali controindicazioni, oltre alla potenziale inutilità, possono avere i test? Occorre dunque interrogarsi sul potenziale delle scienze cognitive, su cui gli investimenti nel cybercapitalismo (così Emanuela Fornari chiama l’attuale fase storica che muove guerra ai legami sociali e individualizza per sorvegliare) sono ingentissimi, nel prevedere o condizionare i comportamenti della magistratura, magari al fine di renderla sostituibile dall’Ia.
Varrà la pena di tener presente che la psichiatria e la psicologia sono strumenti molto invasivi nelle mani del potere (per questo molti psicologi sono indignati dal nuovo codice deontologico), perché strutturano quali comportamenti siano normali e quali patologici o devianti, standardizzandoli. Si tratta di un enorme potere di disciplina che in era neoliberale è penetrata progressivamente nei meccanismi della giustizia (civile e perfino penale) dando sempre crescente spazio a psicologi e cognitivisti, in procedure formalizzate di mediazione. Il conflitto giudiziario si sostituisce con un ambiente artificiale, falsamente cooperativo, permeato di “ideologia dell’armonia”, che premia i comportamenti standard volti a un ragionevole compromesso, a scapito del dissidente, magari infuriato, che insiste sulle proprie ragioni. Si è aperta così la strada nel diritto al giudizio predittivo sulla persona, fondato sulla sua devianza dallo standard. Il diritto, a differenza delle scienze cognitive, dovrebbe occuparsi di fatti storici effettivamente accaduti nei rapporti fra persone, senza cercare di penetrare le menti. Le persone ai suoi occhi devono essere maschere (il significato latino di persona) nel cui intimo non è lecito né rilevante addentrarsi. La dea giustizia è bendata e oggi di fronte all’esplosione dell’Ia (che esaspera la logica predittiva) qualche critico parla di privacy cognitiva. Per il diritto deve rilevare cosa sia dimostrabilmente successo, non chi siano nel loro intimo le persone. Al contrario il cybercapitalismo della sorveglianza è molto più interessato a conoscer l’intimo dietro la maschera, per prevedere e condizionarne i comportamenti del consumatore o del cittadino, standardizzandolo. Di qui i massicci investimenti in scienze cognitive nei principali dipartimenti di marketing statunitensi ed i premi Nobel per l’economia e la medicina dati a queste frontiere del bio-potere. Di qui la fede nelle possibilità predittive dei test attitudinali o psicologici, che già da molti anni sono divenuti una fiorente industria con fatturati miliardari per multinazionali come Parson, in quanto imposti per accedere a ogni programma universitario. Gli studenti si preparano per superare i test psicologici proprio come qualsiasi altra prova. Tali test potrebbero benissimo esser superati, se ben addestrati da appositi corsi online a pagamento, anche da magistrati psicopatici. Dubito che l’alternativa di un colloquio con un professionista, o peggio una psicoterapia preventiva obbligatoria, possa servire a capire chi sia davvero la persona che vuole fare il magistrato. Sicché i test mi paiono inutili, anche se in vita mia ho conosciuto più di un magistrato disturbato.
Possono esser dannosi? Sappiamo che diritto e psichiatria, pur provenendo da tradizioni molto diverse, vissero una stagione fortemente integrata, sulle orme del grande Bogdanov, nell’Unione Sovietica stalinista, dove i dissidenti politici furono oggetto tanto di di processi farsa quanto di internamenti in istituzioni psichiatriche. I tempi recenti hanno mostrato come, anche senza test, il conformismo politico sia fin troppo diffuso in magistratura. Immaginare che esso possa essere amplificato in nuove leve di magistrati programmati come l’Ia per essere forti coi deboli e deboli coi forti fa venire i brividi. Studierei invece forme serie di controllo ex post, iniziando da una responsabilità civile dei magistrati che non sia, come oggi, una farsa.