Dai movimenti per la casa ai cortei pro Palestina. Il potere punisce cittadine e cittadini che si mobilitano. E la repressione anticipa sempre più la sua soglia, diventa strumento per controllare la democrazia dal basso

«A quanto pare, l’unica cosa morale che i civili palestinesi possono fare è morire. L’unica cosa legale che il resto di noi può fare è guardarli morire. E stare in silenzio. Altrimenti, rischiamo le nostre borse di studio, le sovvenzioni, le tasse universitarie e i nostri mezzi di sostentamento», ha dichiarato la scrittrice indiana Arundhati Roy in un’intervista dello scorso dicembre. “Da che parte stai” è una campagna di sensibilizzazione che ha lo scopo di informare e mobilitare sulla repressione nei confronti di attivisti e attiviste a Bologna.

 

Nello specifico, chiede la fine delle misure cautelari nei confronti di 23 persone, notificate lo scorso 4 giugno; 13 dei destinatari hanno ricevuto un divieto di dimora, ovvero è proibito loro di poter entrare nella città dove vivono, studiano o lavorano. Dunque, queste persone si sono trovate, da un giorno all’altro, senza reddito e senza casa, oltre che obbligate a interrompere gli studi. Al momento si tratta di un «esilio a tempo indeterminato», applaudito con gioia dal ministro Matteo Salvini e da Galeazzo Bignami, così come dalla destra cittadina e regionale. Ad altre nove persone è stato notificato l’obbligo di firma e, a una, un daspo da qualsiasi evento politico.

 

Evidentemente, al Tribunale di Bologna non è arrivata la voce che «il personale è politico», diversamente non se la sentirebbe di definire, come ha invece fatto, «blande» le misure emesse. Si tratta invece di decisioni estremamente dure e debilitanti per le libertà personali, così come per i movimenti, ma lo scopo è ovviamente questo: portare la violenza delle carceri fuori, anticipare la gabbia, espandere il controllo, sorvegliare il movimento e, infine, punire una vita intera. Si tratta di questo infatti: sradicare unə cittadinə dalla propria vita con l’obiettivo di svuotare la città, di bruciarne le anime così da poterla svendere e sorvegliare. In questo senso, non sono chiaramente solo misure destabilizzanti ma un’esplicita volontà istituzionale di terrorizzare e inceppare i cambiamenti che colpiscono gli interessi privati, fascisti e guerrafondai.

 

Le soggettività colpite dalle misure repressive esprimono lucidità sullo scopo delle misure. Infatti, la scelta del Tribunale non è solamente legata alla manifestazione a seguito degli sgomberi del 6 dicembre scorso, e dunque alla lotta per la casa, ma soprattutto alle mobilitazioni di migliaia di soggetti attivi in lotte diverse ma legate, e, per necessità storica, anche in quella palestinese. Non a caso le decisioni vengono prese a seguito di tre principali giornate: la mobilitazione, in linea con quella nazionale, davanti alla sede Rai contro il silenzio dei vertici sul genocidio in corso; la contestazione alla presentazione dell’anno accademico all’Università di Bologna e il blocco della stazione Centrale di Bologna il 28 maggio scorso. La presunta pericolosità delle lotte per la casa va letta precisamente nella loro intersezione con la solidarietà alla liberazione palestinese e contro una complicità degli organi di potere con la guerra, la miseria e la precarietà.

 

L’obiettivo è chiaro: arrestare e reprimere la riappropriazione dei processi democratici dal basso. In questo senso, personalmente, mi rivendicherei la pericolosità, visto che, chiaramente, nella solidarietà globale e capillare, questi governi qui vedono limpida, all’orizzonte, la loro fine.