Sono la minoranza etnica più numerosa dell'Ue. E anche la più giovane. Ma restano esclusi. Così in vista delle elezioni hanno redatto un manifesto con proposte concrete per favorire l'integrazione. Ne abbiamo parlato con la comunità romanì al campo di via dei Gordiani a Roma

Fa caldo e c’è aria di festa al campo rom di via dei Gordiani, a Roma. Ma solo perché manca poco al momento in cui circa 359 milioni di persone voteranno per rinnovare il Parlamento europeo e l’organizzazione Roma for Democracy, guidata dai rom, assieme al Movimento Kethane (che significa «insieme») di rom e sinti, ha organizzato una tribuna elettorale dentro il villaggio che esiste dall’inizio degli anni Duemila. Da quando un grosso incendio ha distrutto le baracche che erano state costruite ancora prima da chi si è trasferito dopo essere scappato dalle guerre nei Balcani, alla ricerca di un nuovo spazio da abitare. L’obiettivo dell’incontro è di portare la politica dove di solito non va, per costruire un’Europa democratica nel vero senso della parola, ma anche per fare in modo che chi ne è stato finora escluso entri nel processo d’integrazione e si veda riconosciuti i diritti umani, civili e politici.

 

«Dopo l’incendio del 2001 hanno messo i prefabbricati. Dovevano essere temporanei, invece ci viviamo ancora oggi», spiega Dragan indicando i container ormai fatiscenti, che si avvicendano rendendo difficile capire dove finisca il campo. È un omone dal volto buono, punto di riferimento della comunità rom a Centocelle, non solo perché raccoglie le istanze dei suoi membri e cerca di portarle all’attenzione delle istituzioni, ma anche perché è stato suo padre a fondare l’insediamento. Circa 300 persone che vivono in un ghetto presidiato notte e giorno dalla polizia municipale, troppo vicino alla strada su cui corrono le auto per perdere d’occhio i bambini che giocano. Molti vorrebbero una vita migliore. Impossibile, non solo perché non ci sono alloggi popolari disponibili, ma soprattutto per le discriminazioni. Dei pregiudizi che «gli altri» nutrono nei confronti degli «zingari», i quali rendono difficile costruirsi una vita dignitosa, trasferirsi in un nuovo quartiere, avere vicini, trovare lavoro. «Questa mattina l’autista che avrebbe dovuto consegnarci il gazebo che avevamo prenotato per la tribuna elettorale si è rifiutato di farlo, quando è arrivato ai cancelli del campo. Ha detto che questo “non è un luogo normale”. Non potevano lasciare il gazebo perché non avevano la certezza che l’avremmo riconsegnato», riferisce Giorgio. Che prima della pandemia aveva un lavoro, ma dopo il lockdown non ne ha più trovato uno. «Bevo ogni tanto», confessa mentre sorseggia una birra, «ma senza esagerare».

 

Sono nella sua stessa condizione anche tanti altri che gli siedono accanto, in attesa che il dibattito inizi. Annuiscono, vorrebbero un’occupazione, ma nessuno gliela offre. La maggior parte delle donne ha bambini a cui badare, gli uomini chiacchierano in una lingua che sembra romaní misto a serbo. Hanno quasi tutti i documenti in regola e affermano che andranno a votare l’8 e il 9 giugno. Alcuni hanno già le idee chiare, altri devono informarsi meglio, altri ancora fanno confusione con le elezioni amministrative. Ma applaudono quando sentono dire che c’è chi vuole che la loro voce conti nell’Ue: s’interrompe il brusio, gli speaker sul palco catturano l’attenzione. A confrontarsi ci sono Christian Raimo, insegnante e candidato con Alleanza Verdi e Sinistra, e Vauro Senesi, vignettista e capolista di “Pace Terra Dignità” di Michele Santoro. A introdurre la tribuna è Adela Militaru, direttrice di Roma for Democracy Italia. Presenta il manifesto per la rete transnazionale della Fondazione rom per l’Europa, che contiene proposte concrete della comunità rom e sinti per contribuire alla crescita economica e sociale dell’Ue, Dijana Pavlovic, portavoce del Movimento Kethane.

 

Ci sono sei milioni di membri della comunità romanì in Europa, secondo le stime del 2020 della Commissione europea. Se si prendessero in considerazione anche quelli senza cittadinanza, si arriverebbe a 12 milioni. Si tratta della minoranza etnica più numerosa dell’Unione, ma anche di uno dei gruppi più vulnerabili. Sebbene la Commissione sia impegnata a tutelarne i diritti e a prevenire le discriminazioni (ci sono sette obiettivi da raggiungere entro il 2030, come contrastare l’antiziganismo, colmare il divario con i cittadini autoctoni, promuovere la partecipazione nella società civile), l’80 per cento dei rom è a rischio povertà ed esclusione sociale. Nei Paesi dell’Europa meridionale, tra cui l’Italia, la quota supera il 90 per cento.

 

«La minoranza rom e sinti ha subìto e subisce segregazione razziale abitativa e scolastica in quasi tutti i Paesi. Un esempio: tra i cittadini rom europei 1 su 3 vive senz’acqua potabile e senza un bagno in casa. Le politiche finora praticate sono state insufficienti e inefficaci perché pensate con un approccio assistenzialista», spiega Pavlovic. È, invece, importante che gli elettori rom e sinti partecipino al processo democratico, votino per assottigliare il divario con la politica. Visto che sono anche una risorsa: i membri della comunità romanì sono il gruppo più giovane dell’Ue, mentre dal 2009 al 2023 la popolazione in età lavorativa è diminuita (da 272 milioni a 263) e si prevede che decrescerà ancora. «I 2 milioni di nostri giovani rappresentano un’opportunità, a condizione che possano realizzarsi attraverso adeguati investimenti in programmi educativi e di preparazione professionale. Non è un atto di carità, ma un investimento intelligente che corrisponde a un guadagno di 600 miliardi di euro ogni 10 anni. L’assistenza che gli Stati membri sarebbero costretti a dare al 72 per cento di ragazze e al 55 per cento di ragazzi che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione costerebbe assai di più», si legge nel manifesto redatto per le Europee. «Servono incentivi fiscali e sussidi per stimolare gli imprenditori che impiegano gruppi etnici e sociali esclusi; programmi di sostegno educativo a lungo termine per i minori; formazione sul campo». Per salvaguardare la democrazia in Europa. Per costruire un futuro migliore, a partire dal villaggio di via dei Gordiani.