Nel mondo sono 191 milioni quelle affette da questa patologia. Una malattia invalidante, spesso non diagnosticata. Perciò servono formazione per i sanitari ed esenzioni per i casi meno gravi

Sono almeno 3 milioni le italiane che soffrono di endometriosi. La malattia fantasma, perché difficile da riconoscere, consiste nella fuoriuscita di cellule dall’endometrio, che si trova nella cavità dell’utero, verso gli organi vicini, dove il tessuto endometriale aderisce, provocando infiammazioni che possono comprometterli, a cominciare dall’apparato riproduttivo, con conseguente infertilità. La malattia è infatti responsabile di mancate nascite per il 30% dei casi. Prevenire, quindi, fa bene alle donne, ma anche allo Stato. Secondo l’Osservatorio Malattie rare, si stima che in Italia l’endometriosi abbia un costo medio per donna di 9.579 euro, di cui 6.298 legati alla perdita di produttività (costi indiretti) e 3.113 per spese di assistenza sanitaria (costi diretti). In totale la malattia ci costa annualmente 4 miliardi di euro, 128 milioni solo per la spesa farmaceutica, a cui vanno aggiunti i costi indiretti del 14% delle donne che hanno dovuto ridurre l’orario di lavoro.

 

Di prevenzione si parlava già nel 2004: 276 parlamentari europei firmarono la dichiarazione sull’endometriosi per promuovere la ricerca sulle cause della malattia. L’Ue stanziò 353.770.000 euro per un programma che ne limitasse l’impatto su scala europea. A quel documento il Senato italiano ha risposto con una serie di disegni di legge rimasti però nel vuoto. Unica consolazione, il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 2017 che ha aggiornato i livelli essenziali di assistenza, inserendo l’endometriosi come patologia esente solo per i casi più gravi. Nel 2023 è arrivato un disegno di legge del Senato, in attesa di approvazione, che stanzia 30 milioni di euro l’anno, poco meno di uno e mezzo a Regione, per migliorare la salute delle pazienti, promuovendo la conoscenza della patologia, l’esenzione della malattia in tutti i suoi stadi, l’istituzione di registri per la raccolta e l’analisi dei dati clinici, oltre a realizzare corsi di aggiornamento del personale medico e ad attuare misure in caso di assenze dal lavoro.

 

L’endometriosi infatti è una malattia invalidante da cui non si guarisce, ma si può curare, rallentandola ed eliminando i sintomi: dolore pelvico, alla minzione, durante i rapporti sessuali, emorragie. Il dolore è talmente forte, da provocare gravi ripercussioni fisiche e psicologiche sulla donna, ma anche su chi le sta accanto.

 

Riconoscere l’endometriosi significa ridurre le complicanze e migliorare la qualità della vita. Invece la diagnosi ritarda dai sette ai 10 anni e i dolori sono minimizzati. «Ti senti dire che sei esagerata, che è normale soffrire; alla fine, ti convinci che il problema sei tu». Anita ha 42 anni e il male la accompagna da quando ne aveva 16: «Mi sentivo un fuoco nel ventre che si spegneva solo attraverso un dolore fortissimo. Il medico curante pensava a un’intolleranza alimentare. Credevo di risolvere con una dieta, ma un giorno finii in pronto soccorso. Gravidanza extrauterina, mi dissero. Tre giorni di degenza in ginecologia per capire che non c’era alcuna gravidanza, ma ben altro, che però i medici del reparto non erano in grado di gestire». Il consiglio è di rivolgersi a un centro specializzato. Così Anita parte dal Salento e approda a Roma, in una clinica privata. Lì emerge l’urgenza di un intervento perché l’uretere è avvolto dalle cellule endometriali. Costo dell’operazione: 11 mila euro. Troppo per Anita, che cerca un’alternativa. La trova all’Ircss “Sacro Cuore Don Calabria” di Negrar di Valpolicella, nel Veronese, dove viene presa in carico dal reparto di ginecologia diretto da Marcello Ceccaroni. Le viene diagnosticata un’endometriosi al 3°stadio. Così nel 2019 viene operata. Nel 2022 sta malissimo, il medico curante parla di appendicite, intanto lei peggiora, non riesce a camminare: l’endometriosi ha attaccato i nervi. Nel 2023 una nuova operazione. Le cellule, che a ogni ciclo escono dall’endometrio e si diffondono, hanno perforato l’intestino e, poco dopo, Anita rientra in sala operatoria d’urgenza.

 

Oggi ha un’invalidità del 67%, porta le cicatrici di una malattia che nessuno vedeva, mentre lei stringeva i denti per condurre una vita che di normale aveva poco. «Non puoi fare programmi perché temi che all’improvviso arrivi un attacco e i momenti down sono tanti. Ti senti sola, incompresa, anche dal partner con cui la sfera sessuale è complicata. Una vita sociale pari a zero, si perdono amiche, compagni, opportunità, il lavoro per le troppe assenze». Tutto questo perché non si sa cosa sia l’endometriosi. «Nonostante sia più diffusa del diabete, con 191 milioni di donne colpite nel mondo – sottolinea Paola De Mitri, ginecologa del “Sacro Cuore Don Calabria” – la malattia è misconosciuta anche nell’ambiente medico. Il picco della diffusione si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma negli ultimi tempi l’età si sta abbassando, vediamo ragazze anche di 14-16 anni. Il 60% delle adolescenti si assenta da scuola per i dolori, ma professori e pediatri non sono preparati».

 

«Serve informare, fare formazione», dice Annalisa Frassineti, presidentessa dell’Associazione Progetto Endometriosi. Nel 2021 il ministero della Salute affida all’Agenas un lavoro, conclusosi nel 2023, dopo una campagna d’informazione nelle scuole, con 8.000 studenti coinvolti. Erano previsti corsi online per medici, a cui però ha preso parte solo un centinaio di professionisti di tutta Italia». E De Mitri spiega: «Molti medici evitano di occuparsi di endometriosi, perché è difficile da gestire, poco remunerativa e richiede spesso il supporto di più specialisti». Al progetto di Agenas non è seguita alcuna programmazione del governo. «Solo Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Sicilia – continua Frassineti – hanno attuato i Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, attraverso i quali la donna trova tutti i servizi necessari. Nella stragrande maggioranza del territorio nazionale, però, si brancola nel buio». Poi c’è il problema di pagare farmaci e integratori, lo Stato riconosce l’esenzione solo per visita ed ecografia ginecologica nelle forme più gravi (300 mila donne esenti e 2 milioni e 700 mila no). «Il rischio – conclude Frassineti – è che chi non può pagarsi le cure arriva alla diagnosi quando l’endometriosi è avanzata».