Controcopertina
«I testi di Taylor Swift, un grande racconto di formazione»: parola di scrittore
La discografia della cantante è tutt'altro che banale e mischia finzione e vita privata riuscendo ad appassionare. Crea incastri che funzionano da un punto di vista melodico e costruiscono immagini chiare ma profonde
Mesi fa ho scoperto right where you left me, brano di Taylor Swift contenuto in Evermore, album del 2020. So che la faccenda non ha alcunché di eccezionale, ma per me è stato un fatto incredibile per tre ragioni: non credevo esistessero canzoni di Taylor Swift che non conoscessi già, leggerne il testo mi ha fatto tornare indietro e studiare la sua discografia e, infine, ho incrociato il pezzo in un periodo per me complesso.
Procediamo con ordine. Ho ascoltato per la prima volta Love story che avevo quattordici anni e oggi, a quindici di distanza, seguita a essere una delle canzoni che gira di più sul mio telefono. Taylor Swift mi ha tenuto compagnia per oltre metà della mia vita, restando sempre, nonostante i periodi, gli accadimenti, un punto di riferimento utile a decodificare sia me stesso sia anche il mondo. Sono uno scrittore, però, e per un certo periodo, e soprattutto nei mesi seguenti al mio esordio, più di quattro anni fa, ho tenuto questa febbre per me – per me e per le persone a me vicine, ché la ascolto così tanto, Taylor Swift, che chi mi è accanto è condannato a sopportarla a rotazione continua. Me ne vergognavo, sì. È roba adolescenziale, mi ripetevo nella mia testa, non posso mica parlare di John Steinbeck o Wisława Szymborska e poi, come se niente fosse, di quante volte abbia ascoltato, e solo questo mese, All too well o Getaway car. Sì, insomma, pure se per qualche tempo solo in segreto, dai quattordici anni in poi non ho mai smesso di ascoltare Taylor Swift. Quel che non ho mai fatto, invece, è stato cercar di indagare i motivi per cui la sua musica mi piaccia così: quando la domanda faceva capolino nella mia testa mi davo risposte ovvie – risposte che, avrei letto, sono le stesse che si danno critici musicali e giornalisti.
Poi ho scoperto right where you left me, ho studiato i vecchi testi e ho capito.
Prima di andare avanti, va chiarita una cosa: Taylor Swift scrive bene. Nell’uso della lingua, pure quand’è banale nella scelta lessicale, è sempre capace, in maniera che sembra spontanea e mai artificiosa, di creare incastri che non soltanto funzionano da un punto di vista melodico ma costruiscono immagini chiare e allo stesso tempo profonde. Tanto che BuzzFeed poco tempo fa ha pubblicato un test, ancora in Rete: Shakespeare o Taylor Swift? Ci si trova di fronte a un verso, e si deve indovinare chi l’abbia scritto tra i due – l’ho fatto, ho dato diverse risposte sbagliate e non mi sono sentito granché a posto con la coscienza, poi però ho visto su YouTube che pure gli attori del National Theatre di Londra, che Shakespeare lo conoscono bene, hanno fallito, e mi sono risollevato.
Ma il braccio armato di Taylor Swift è lo storytelling.
Usando una prima persona forte, un Io narrante che non è solo ben piantato nei singoli brani ma nell’intera discografia – discografia che ricostruisce la storia personale, intima della cantante – Taylor Swift crea una personaggia cui non possiamo far a meno di affezionarci, empatizzare. È prima una ragazza ingenua, che aspetta il grande amore, quello dei film, che non sa che direzione dare alla sua vita – we’re happy, free, confused and lonely at the same time canta in 22. È poi una giovane donna abbandonata e ferita, tradita e costretta in relazioni che hanno bruciato solo del suo amore, non di quello altrui – baby for you I would fall from grace just to touch your face dice in Don’t blame me. È infine una adulta solida e che ha sofferto, sì, ma che dal dolore ha tratto la forza utile a crescere – and if you never bleed you’re never gonna grow canta in the 1. Mescolando alla finzione pezzi della sua vita personale con i suoi album ha scritto uno dei più grandi personaggi della letteratura americana: la sua discografia è un racconto di formazione.
C’è tutto. Una eroina che cresce – da ragazzina sfigata, di una piccola città degli Stati Uniti, a riempire gli stadi di tutto il mondo – degli aiutanti – le sue amiche, pure loro celebrità – degli antagonisti – i suoi ex fidanzati. Narrazione che partendo da esperienze intime diviene universale: nel raccontare i propri dolori e le relazioni finite male, Taylor Swift descrive l’amore nelle sue forme più comuni.
E arriviamo alla terza ragione per cui scoprire right where you left me sia stato, qualche mese fa, così importante per me. Come dicevo, era un periodo complesso della mia vita: a metà dicembre, giusto un mese prima, ero stato lasciato. Soffrivo da cani – io che ero sempre stato il carnefice mi trovavo in terra, ferito. Così, senza troppo pensarci, ho intensificato l’ascolto delle sue canzoni. Tutt’i giorni, difatti, lavorando sempre, solo da casa, faccio una passeggiata di mezz’ora per il quartiere di Milano in cui abito, Isola, e tutt’i giorni per tre mesi non ho ascoltato altro che lei. Ed è stato allora che ho scoperto right where you left me; parla di una ragazza che viene lasciata, e che da quel momento si sente ferma – help, I’m still at the restaurant still sitting in a corner I haunt.
Non si è trattato di un rispecchiamento, non mi sono rivisto in lei: la sensazione che ho provato, giorno dopo giorno, ascoltando questa canzone – questa e altre, certo – è stata quella che mi investe quando leggendo un romanzo, in cui i panorami emotivi del protagonista lambiscono i miei, mi sento compreso. Conforto – ecco di cosa si è trattato. Ci sono passata, e credimi: il tuo dolore finirà – ecco cosa sentivo, ascoltandola.
Taylor Swift mi ha fatto superare il mal d’amore, e mica è poco.