Cineasta outsider e anticonformista. Vive a Roma da dieci anni ma resta legato agli Stati Uniti. Soprattutto sulle elezioni in arrivo ha le idee molto chiare. E le racconta in questa intervista piena di passione e di parolacce

«Non mi coinvolga in polemiche su Hollywood, non vivo neanche più in America, sono a Roma da dieci anni e ci vivo benissimo». Inizia con questa richiesta, a metà tra avvertimento e cortesia, l’intervista ad Abel Ferrara, cineasta outsider e allergico al politicamente corretto che ha portato sullo schermo opere controverse, accanto a biografie di personaggi come “Pasolini”. In questi giorni è al cinema il suo “Padre Pio”, presentato qualche giorno fa al Taormina Film Festival. A settembre inizierà le riprese di “American Nails”, ispirato al mito di Fedra. Lui di “american” mantiene l’affetto verso il suo Paese, per le cui sorti si dichiara tuttavia non poco preoccupato.

 

Che rapporto ha oggi con il suo Paese?
«Lo amo, è il posto in cui sono nato. Ma siamo nel bel mezzo di una guerra civile, perché è questo che sta accadendo».

 

Cosa pensa dell’attentato a Donald Trump?
«Chi di spada ferisce, di spada perisce. Trump predica la violenza, spinge alla violenza, credeva di esserne esente? Il mio Paese è nato da un colpo di pistola. Con il nostro amico Cristoforo Colombo che ci ha portato le armi e non hanno smesso di usarle fin quando ogni fottuto indiano non è stato ammazzato. È il karma, il karma della schiavitù. La violenza negli Stati Uniti dipende dalle armi, in Europa i cittadini non vanno mica in giro con le armi tanto per “proteggersi”, a meno che non siano gangster, ma in quel caso parliamo di illegalità. Invece per un americano portarsi dietro una pistola è normale, anzi è un diritto. È assurdo, pura follia».

 

Si è parlato molto dell'inadeguatezza di Joe Biden, prima ancora che ritirasse la sua candidatura.
«Biden è quello che è, invecchiare è triste per tutti. Lo dico con cognizione di causa, perché sto invecchiando anch’io, ma a un certo punto bisogna riconoscerlo e basta. Ovviamente poi c’è da fare tutto un discorso sulla democrazia: da sempre funziona che non è tanto il presidente a governare, quanto la gente attorno a lui. Attorno a Barack Obama, Hillary Clinton o Bill Clinton c’è da sempre una serie di persone che si occupa di governare. La verità, poi, è che per la gente cambierà poco chi andrà al governo».

 

Perché?
«Perché ai politici non frega un c**o del popolo. A loro interessa solo il potere, appunto, perché significa soldi, tanti soldi. A noi altri sta semplicemente saperlo e accettarlo. Ma sta registrando? Perché sto dicendo cose molto politiche, può scriverle, basta che le scriva come le dico».

 

Lo sto facendo, le assicuro, andiamo avanti: vive da un decennio in Italia, come le sembra il nuovo governo?
«Ho scelto di vivere in Italia perché certi valori non tramonteranno mai. Non sono così addentro alla politica italiana per potermi esprimere, posso dirle che sono molto più preoccupato del governo degli Stati Uniti adesso».

 

 

Ha voluto girare di persona un documentario su ciò che sta accadendo in Ucraina dal titolo “Turn in the wound”, presentato alla Berlinale 2024. Perché ha detto di essersi sentito «obbligato» a partire?
«Ero stufo delle fake news. Vivo in Europa e sono un documentarista, dove altro sarei dovuto andare a girare? Io voglio sempre vedere le cose con i miei occhi, non mi frega un ca**o di leggerle su X. Mi sono stancato di tutte le str**ate che dicono sull’Ucraina».

 

 

Ha incontrato anche Volodymyr Zelensky. 
«Mi ci sono seduto a parlare, ma non erano semplici chiacchierate, lo filmavo. Perché il cinema è il mio strumento per capire e mostrare, è il mio lavoro».

 

 

Che idea si è fatto del conflitto in Ucraina a fine film?
«Gli ucraini stanno combattendo per le loro vite e la loro libertà. Non sono andati loro a invadere la Russia, le dietrologie non mi interessano, non mi interessa neanche tifare per l’uno o per l’altro: quando c’è un conflitto, che sia in Ucraina o a Gaza, sbaglia sempre chi ammazza donne e bambini. È proprio dalla parte sbagliata della legge, e di Dio. Non c’è zona grigia o sfumatura che tenga».

 

 

Perché oggi sono pochi gli artisti che intervengono per chiedere il cessate il fuoco?
«Qualcuno lo fa, altri non capiscono che chiudersi nel silenzio è una posizione politica molto più forte di chi grida “Cessate il fuoco”. Io lo ribadisco: sono contrario all’omicidio di donne e bambini, da qualsiasi parte avvenga».

 

Parliamo di religione: il suo Padre Pio è tutto tranne che un santo.
«Non me ne fregava un ca**o di raccontare un santo. Volevo fare un film sull’uomo, raccontarne i dubbi, il momento in cui mette in discussione se stesso e quello in cui crede. Pio è uno di noi. Nessuno nasce santo, ma poi cosa vuol dire santo? A me interessava solo raccontare un uomo che ha servito la gente e dedicato la sua vita agli altri giorno dopo giorno».

 

Con non poco dolore, il suo Padre Pio è un uomo sofferente.
«Certo, perché empatizza. È quello che dovrebbero fare tutti gli uomini di chiesa, empatizzare con la gente. Era il periodo della fine di una guerra mondiale brutale, c’erano i soldati sopravvissuti che tornavano, una povertà e una fame dilaganti, la pandemia della spagnola. La gente soffriva e Pio era uno di loro».

 

Del suo nuovo film “American Nails” cosa può anticipare?
«Dirigerò Asia Argento e Willem Dafoe, attore che stimo e mio caro amico, padrino di mia figlia Anna. Ho in mente un gangster movie basato sulla tragedia greca Fedra, un manifesto femminista senza età. È come l’Edipo Re o l’Odissea, storie universali che attraversano il tempo e risultano attuali dopo millenni».