Arabopolis
Cara Nika, uccisa dal regime degli ayatollah, il tuo ricordo vive nel diario e nelle opere di tua zia Atash
La sedicenne che bruciò il velo durante una protesta è diventata un'icona del movimento Donna Vita Libertà. Anche grazie ai post su Instagram dell'artista con cui abitava a Teheran
Cosa puoi fare se tua nipote un giorno sparisce, e tempo dopo viene ritrovata brutalmente uccisa? Come puoi convivere con un lutto così devastante? E con la certezza che a compiere il crimine sono rappresentanti del governo dello Stato in cui vivi? E come puoi mantenere vivo il ricordo di una ragazzina di 16 anni, e l’orrore della “polizia morale” che in Iran impone alle donne il velo e altri comportamenti e vestiti “modesti” a costo della vita?
Se sei un’artista, puoi affidare opere, disegni, fotografie a Instagram, e legarle con pensieri e frasi che diventano poesia o slogan di resistenza. È quello che sta facendo Atash Shakarami. Dal giorno in cui Nika Shakarami, la nipote che abitava con lei, è sparita, nel periodo di lotte politiche e femministe seguite alla morte di Mahsa-Jina Amini, il suo account è diventato un tempio del ricordo e della resistenza. I testi sono in farsi, e quindi in caratteri arabi, ma basta copiarli su un browser per ottenerne una traduzione, brutta ma significativa. Molti testi si trovano tradotti in inglese sul sito della rivista online “Markaz Review”, noi ringraziamo per la collaborazione Jina Vedjdani.
Tutti abbiamo conosciuto Nika, tutti ci ricordiamo di lei. I media occidentali hanno rilanciato mille volte il video del settembre 2022 in cui questa bella ragazza durante una manifestazione di protesta si toglie il velo dai capelli, gli dà fuoco e lo agita verso la folla e verso la polizia. Fuoco in persiano si dice “atash”, proprio il nome della zia…
Poche ore dopo quel video, Nika è scomparsa. La famiglia l’ha rivista qualche giorno più tardi, quando la polizia li ha avvertiti di andare a riprendere il cadavere della ragazza. I dettagli della sua fine sono rimasti un mistero, anche perché la polizia ha cercato di gettare fumo parlando di una fuga volontaria finita con un suicidio (la famiglia ha anche ricevuto un video che lo avrebbe provato).
Ma, secondo giornalisti occidentali e attivisti che hanno ricostruito le ultime ore della ragazza, la brutale realtà è chiara: la sedicenne diventata simbolo delle proteste è stata arrestata, picchiata, violentata e uccisa. Quando Atash ha reso pubblici i suoi dubbi, è stata arrestata, e liberata solo dopo essere stata obbligata a dichiarare in televisione di essersi convinta della ricostruzione della polizia: una dichiarazione che, si è saputo in seguito, era stata estorta sotto minaccia di morte non solo per lei, ma per l’intera famiglia.
Arash però non si è arresa. Continua a resistere, e lo fa con i mezzi che ha a disposizione malgrado la censura di regime: l’arte e Instagram. Nei suoi post, accompagnati da dettagli delle sue opere o da immagini della nipote o di oggetti che gliela ricordano, tiene una sorta di diario che mescola il passato e il presente, i ricordi di Nika e il dolore per la sua assenza. E mischia il piano personale e quello politico, il lutto e la resistenza. Il regime non ha ancora reagito a questi post, ma la macchina della maldicenza si è messa subito in moto: accusando Atash, che era un’artista già affermata, di aver approfittato della morte di Nika per guadagnare di più, alzando il prezzo delle sue opere.
La rivista online Markaz Review ha pubblicato una scelta dei “Mourning Diaries” di Atash, curata da Poupeh Missaghi: testi e immagini che sono una testimonianza non solo di un dolore personale ma della resistenza collettiva. Tutti i regimi contano di fiaccare i familiari di chi viene ucciso, e spesso è così, è fin troppo umano che sia così. Ma Atash è un’artista, e il suo dolore si sfoga in immagini e in brevi testi che diventano facilmente poesia. Del regime non ha paura, ma ha già preparato un testamento spirituale: ha registrato la sua versione dei fatti in un podcast «affidato a mani sicure, all’estero. Quando sarà il momento, lo pubblicherò».
La sua testimonianza inizia subito, il giorno del funerale, il primo ottobre del ’22: «Oggi doveva essere il tuo compleanno», scrive. «Il tuo diciassettesimo, mia bellissima Joojoo. / Ma in questo primo di ottobre il tuo corpo delicato e ferito si mette in cammino verso la Madre Terra, perché tu possa riposare per sempre sulle montagne di Zagros». E ancora: «Tutti siete invitati all’ultimo compleanno di Nika. / Nica che non c’è più, Nika che è per sempre. / Possano migliaia e migliaia di altre coraggiose Nika avere vita dalla morte della nostra coraggiosa Nika».
Il dolore la devasta («Del mio cuore non è rimasto niente / è solo acqua fredda e scura / e mi sento affogare dal di dentro e da fuori ») ma il lutto personale diventa collettivo: «Il tempo scorre / La vita non finisce / Ma non saremo mai più le persone che eravamo prima della morte di Nika. Qualcosa in noi è stato distrutto, e qualcosa è nato da quelle rovine. / E quell oche è nato è la compassione profonda che l’intera nazione ha mostrato alla nostra famiglia di fronte alla perdita di Nika». Nika che diventa un simbolo eppure rimane una persona: «L’anima coraggiosa di Nika riposa in quell’antico cimitero lontano: perché quando ci ha lasciato era coraggiosa e bella, e la bellezza non muore mai, e il coraggio è una cosa sola con la bellezza».
Torna il ricordo della giornata della manifestazione, del video che tutto il mondo conosce: «Metà di quel velo di cotone nero ha preso fuoco quando Nika lo ha incendiato, stando in piedi su un bidone di rifiuti. L’altra metà è rimasta con me, Atash, e sarà mio per sempre. / Lei amava gli indumenti di stoffa leggera / come se volesse essere sempre pronta a correre via / Anche quando camminava sembrava andare di fretta. / Negli ultimi tempi mi rendevo conto che stava scappando mia, questo mi faceva preoccupare. Ma lei stava crescendo, stava diventando indipendente. / Stava crescendo / ma ogni volta che ripeto questa frase il mio cuore si ferma, poi riprendere a battere con violenza, come se prendesse fuoco / No / non è cresciuta / ma è arrivata alla maturità, anche se era così giovane. / È cresciuta, è diventata grande e luminosa, è diventata una stella sopra questa terra che ribolle di sangue». Quel giorno Nika indossava scarpe bianche, che Atash non ha rivisto più: «Quelle scarpe bianche, bianche e leggere, le avevi comprate ai saldi / Tu, con il tuo cuore coraggioso e i piedi fragili».
Ogni giorno è un dolore rivedere gli oggetti che continuano a vivere, ora che lei non c’è più. «nella vita di tutti I giorni gli oggetti hanno banali significati funzionali. / Ma la morte cambia questi significati. / La morte li scaccia e crea significati nuovi, perché la persona a cui appartenevano non è più viva e non può più indossare le sue scarpe, o girare la chiave nella toppa e dire “Ciao zietta, che buon profumino c’è, ho tanta fame!!!”»
Ma il ricordo più struggente è quello del velo, il simbolo di una battaglia per la libertà che le donne iraniane sono pronte a combattere rischiando la morte. Quel velo, scelto in una stoffa leggera che desse meno fastidio possibile, così che per Nika fosse meno faticoso accettare di metterlo in testa: «Quel velo, lo avevamo comprato insieme. Era troppo largo. L’ho tagliato in due, e ho rifatto. Lei voleva usare l’altra metà quando la prima si fosse consumata. Ma l’altra metà è rimasta a me». Come se Nika avesse passato alla zia il testimone di una staffetta, un rubabandiera verso la libertà.