In questo quadrante periferico della Capitale, già congestionato dal traffico, i cittadini si mobilitano contro il progetto. Che ignora i problemi e i bisogni reali del territorio

«È perché non siamo liberi che il mondo brucia. E il mondo smetterà di bruciare solo se ci libereremo», questo il preambolo di “Per un’ecologia pirata. E saremo liberi!” di Fatima Ouassak (Tamu edizioni, 2024). Il lavoro della politologa e militante inizia con una considerazione sulla sacrificabilità delle periferie nei progetti green. L’autrice afferma che nei quartieri più popolari e periferici «la questione ecologica non può avere come obiettivo la protezione della terra – ambienti, natura ed esseri viventi – ma la sua liberazione». Invece le periferie vengono trattate come serbatoi di energia, di manodopera essenziale ma sacrificabile e come bacini di voti.

 

Proprio pensando alla prossima tornata elettorale, l’attuale amministrazione capitolina procede con il progetto dello stadio dell’As Roma a Pietralata, dopo aver escluso il quartiere da un dibattito reale perché «gli abitanti dei quartieri popolari sono lì per fare massa, fare corpo, ma non per partecipare all’elaborazione di un progetto politico», come scrive Ouassak. «Se cementano, noi je famo la festa!» è stato il nome di una delle prime iniziative per la salvaguardia del parco di Pietralata contro la costruzione dello stadio. A oggi, sono quattro mesi che il coordinamento romano blocca i lavori per salvaguardare 14 ettari di bosco urbano costellato di allori, robinie e querce, ma anche di cardi, mandorli e ligustri.

 

«Alle prime voci sulla costruzione dello stadio, pur essendo allarmati, ritenevamo talmente assurda un’operazione del genere da non crederci perché chi conosce la zona sa che è già congestionata dagli abitanti del quartiere, figuriamoci se accogliesse 62 mila tifosi. Soprattutto, perché a 500 metri in linea d’aria, c’è l’Ospedale Sandro Pertini», racconta Simona Tocci del coordinamento “Sì al Parco – No allo Stadio”. Immaginarsi un ospedale sotto assedio delle tifoserie in un quartiere trafficato e inquinato non è certo idilliaco. Soprattutto se quella struttura è già in condizioni di estrema fragilità.

 

Nella rete infatti è attivo anche il personale medico e infermieristico del Pertini che chiede più strutture, più assunzioni e altri 1.200 posti letto. Il coordinamento, nato a ottobre 2022, dichiara: «In questa città abbiamo bisogno che la nostra vita sia semplificata, che ci venga permesso di mantenere la nostra dignità e che sia prospettato un futuro». Questo sicuramente non lo si fa asfissiando ulteriormente il quartiere che, secondo i dati di Arpa, è il più inquinato della Capitale.

 

Il coordinamento, sin dall’inizio, ha proposto un progetto alternativo per dimostrare che la qualità della vita del quadrante passa esclusivamente attraverso la salvaguardia, lo sviluppo e l’accessibilità di questo enorme spazio verde pubblico. Inoltre, il recente sgombero di quattro famiglie nella limitrofa via degli Aromi è «puro bullismo istituzionale con tanto di gogna mediatica»: persone nate e cresciute nel quartiere in virtù di antiche assegnazioni ai loro bisnonni, reduci della prima guerra mondiale. Gli espropri del 2003 sono insignificanti se nei decenni l’amministrazione non ha mai realizzato niente.

 

«A Roma quasi ogni giorno c’è un incendio e quasi ogni municipio ha una vertenza in corso contro quest’amministrazione», nota Simona. Sono lotte ecologiste, sanitarie e abitative estremamente interconnesse e dipendenti tra di loro. Intorno a queste si è creata una fitta rete di iniziative; l’ultima è stata la «pedalata ecosistemica» del 22 giugno scorso.