Politica
L’atlantista, il trumpista e l'equilibrista: il governo Meloni è diviso anche sulle elezioni americane
I leader dei tre partiti di maggioranza hanno posizioni diverse sulle presidenziali. Meloni si è avvicinata a Biden, Tajani, prudente, non prende posizione e Salvini è un fan di The Donald. Su tutti il monito di Mattarella che invita a non farsi dettare l'agenda oltreoceano
È un voto decisivo quello del 5 novembre, non solo per gli americani. Una vittoria di Donald Trump cambierebbe gli equilibri in Europa. La partita è apertissima. La chioma candida del tycoon si staglia su questioni non di poco conto: dalla sicurezza per gli accordi bilaterali fino ai patti con la Russia. Si affaccia sull’Italia dalla postazione mediterranea di Israele, si dispiega sugli accordi per il clima e sulle divergenze di visione economica. Su tutto questo la maggioranza di governo si presenta fedele a posizioni interne fatte di guerre intestine e tentativi di differenziarsi nella stessa metà campo.
Giorgia Meloni, che sin dal suo insediamento come presidente del Consiglio ha scelto di sfoggiare una divisa istituzionale, ha assecondato il presidente uscente Joe Biden e fino a oggi non si esprime apertamente sul duello Harris-Trump. La base di Fratelli d’Italia tifa per The Donald, nessuno dubbio. Basta attraversare le sedi di partito, scorrere le pagine social. La loro leader negli ultimi due anni però ha giocato in una sola metà campo: quella di Biden. Ha sostenuto l’Ucraina senza risparmiare critiche a Vladimir Putin mentre Donald Trump faceva il contrario. Ha fatto muro mentre il suo stesso governo chiedeva di interrompere i rifornimenti di armi a Kiev.
«Metterò fine alla guerra», ha invece promesso Trump, lasciando al suo vice J.D. Vance parole più concrete sull’invasione russa: gli Stati Uniti «non hanno alcun interesse» a sostenere economicamente e militarmente la causa ucraina (costata agli americani dal febbraio 2022 ad aprile 2024 circa 175 miliardi di dollari). Meloni non intreccia l’agenda di Trump neanche per un secondo: spinge per la protezione di Taiwan, firma un protocollo di intesa sul cambio climatico. Dall’incontro tra la premier e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, durante la visita della presidente del Consiglio a Washington il primo marzo, sono emerse solo sintonie sull’agenda dei democratici. E ancora gli abbracci con Volodymyr Zelensky, l’atlantismo convinto. La distanza tra Meloni e Trump è concreta anche nell’approccio alla cosa pubblica: la leader di FdI ha una solida tradizione politica che mette l’accento sul ruolo attivo dello Stato nella vita pubblica mentre il tycoon è un imprenditore che vede lo Stato come un soggetto intrusivo e dannoso per il libero mercato. E dire che quattro anni fa, nel 2020, Meloni «da patriota italiana» tifava per Trump: «Spero possa vincere Trump perché abbiamo già visto le disastrose conseguenze che la politica estera e la dottrina Obama-Clinton hanno avuto sulla difesa dell’interesse nazionale italiano».
Ma è cambiato il mondo in quattro anni: l’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021, le posizioni sempre più isolazioniste di Trump che poco possono convergere con il capo del governo e di un partito passato dal 4 al quasi 30 per cento. Tesi a cui sembra fare eco anche Italo Bocchino, direttore del Secolo d’Italia ed ex braccio destro di Gianfranco Fini che sul Foglio ha dichiarato di recente: «La coalizione di centrodestra non è un monolito, le diverse sensibilità verrebbero assorbite. Vero è che il Trump di oggi e la Meloni di oggi sono meno convergenti di ieri, prima di tutto perché l’Ucraina ha fatto da spartiacque. Un Trump isolazionista, per una Meloni atlantista che ha costruito un buon rapporto con Biden, può essere fonte di grande perplessità».
Emerge poi dai social quello che somiglia quanto meno a una simpatia da parte della leader di Fratelli d’Italia verso l’attuale candidata alla Casa Bianca per i democratici. Siamo nel 2021 e Giorgia Meloni posta su Facebook una dichiarazione di Harris pronunciata durante la sua visita in Guatemala: «Non venite, noi continueremo a far rispettare le nostre leggi e a proteggere i nostri confini. Se arriverete al nostro confine, sarete rispediti indietro». Sotto la card social con la citazione di Harris il seguente commento di Meloni: «Il vicepresidente Usa e idolo della sinistra Kamala Harris ora parla come Trump e rivolgendosi ai migranti che vorrebbero entrare negli Stati Uniti dice chiaramente che l’immigrazione illegale sarà contrastata. Gli Stati Uniti continueranno a difendere i propri confini e le proprie leggi, anche “respingendo” chi prova a entrare illegalmente. Così come fa qualsiasi Nazione al mondo, tranne l’Italia ostaggio della sinistra immigrazionista. P.s. Che dite, sentiremo il solito grido sdegnato di politici, giornalisti e intellettualoni nostrani o questa volta faranno finta di niente?».
Quello da equilibrista delle emozioni, talento dell'abbraccio condiviso è invece il ruolo che vuole giocare il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Non tocca a noi infilarci nella campagna elettorale degli Stati Uniti. Noi siamo amici degli Usa a prescindere e lavoreremo bene sia con Trump sia con Harris», ha ripetuto nei panni di vicepresidente del Consiglio. Ma per capire meglio cosa pensa l’ex presidente dell’Europarlamento bisogna interpellarlo nei panni di presidente di Forza Italia: «Trump non è mai stato un punto di riferimento anche per Forza Italia», ha risposto sibillino a febbraio durante una conferenza stampa nella sede del partito, a Roma, per annunciare nuovi ingressi in Liguria. «Non condivido quello che ha detto il candidato Trump però non tocca a me interferire nella campagna elettorale degli Stati Uniti», ha commentato poi a proposito delle parole dell’ex presidente, che ha invogliato la Russia ad attaccare i Paesi Nato che contribuiscono con meno del 2 per cento alle spese dell’Alleanza atlantica. «Noi siamo amici e alleati degli Stati Uniti indipendentemente da chi sarà domani il presidente», ha poi aggiunto, qui nei panni da vicepresidente del Consiglio.
Netto, con uno stile da «Capitan Fracassa» (copyright di Antonio Tajani) è il leader della Lega Matteo Salvini che da tempo sostiene The Donald senza riserve. Il ministro ai Trasporti e alle Infrastrutture ha esultato al ritiro di Biden («finalmente»), ha invitato i suoi follower a dedicare un «pensiero» alla candidata indicata da Biden, Kamala Harris, ora che «il “peggior presidente Usa della storia”, come lo ha definito Trump ha finalmente annunciato il ritiro alla corsa per la Casa Bianca». Nel presentarla ha naturalmente tirato in ballo George Soros, il cui figlio Alex ha appoggiato Harris («Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei»). Una fascinazione quella di Salvini spinta al massimo, proprio in questo tempo che lo vede boccheggiare consensi. «È il futuro, spero che vinca per tutelare i diritti e la libertà», dice in una intervista a Italia Report Usa. «In qualità di vicepremier ho contatti con l’attuale amministrazione statunitense, non ho mai nascosto la mia speranza in una vittoria dei repubblicani di Trump. Condivido la loro politica sui temi della famiglia, della sicurezza, della lotta all’immigrazione clandestina e per il contrasto ai fanatismi: quello islamico e lo strapotere cinese e il tema della pace». Il Capitano ha anche annunciato che andrà a Washington prima del voto e ha paragonato il candidato per la Casa Bianca a Silvio Berlusconi: «Berlusconi per 30 anni è stato indagato, processato, perseguitato politicamente da certa stampa e da certa magistratura». Augurandosi la vittoria dei repubblicani anche per porre fine a «questa sbornia pseudo-green tra Bruxelles e Washington che porta vantaggi solo alla Cina». La strategia è visibile a occhio nudo: scavalcare a destra il partito di Giorgia Meloni non solo sulle questioni interne ma anche internazionali. Un gioco ignoto quello della ricerca di consenso attraverso una nuova matrice identitaria, pazienza se rischia di sfiorare la caricatura.
Qualcosa che disturba ancora di più la maggioranza, già parecchio inferocita dalle ultime uscite del Carroccio e che stona con le raccomandazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che durante la cerimonia del Ventaglio, ha inviato alle parti in commedia un messaggio difficile da fraintendere: «Nessuno – vorrei presumere – ipotizza di conformare i propri orientamenti a seconda di quanto decidono elettori di altri Paesi e non in base a quel che risponde al rispetto del nostro interesse nazionale e dei princìpi della nostra Costituzione». Difficile da equivocare: le posizioni dell’Italia su questioni di scala internazionale e soprattutto su temi che riguardano l’Europa, la difesa della democrazia, le posizioni atlantiste e sull’Ucraina restano in piedi, solide e si intrecciano con la tutela dell’interesse nazionale italiano. Farsi dettare l’agenda oltreoceano sarebbe impensabile. A queste il capo dello Stato ha aggiunto parole ancora più cristalline: «L’Italia, i suoi alleati, i suoi partner dell’Unione, sostenendo l’Ucraina, difendono la pace, affinché si eviti un succedersi di aggressioni sui vicini più deboli. Perché questo – anche in questo secolo – condurrebbe a un’esplosione di guerra globale».