Il viaggio di Giorgia Meloni negli Stati Uniti per incontrare il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump non è solo un appuntamento istituzionale. Ufficialmente si parlerà soprattutto di dazi, export e relazioni transatlantiche. Temi fondamentali per l’Italia, certo, ma non esaustivi. Dietro l’agenda ufficiale, infatti, si cela un secondo livello, più riservato e carico di implicazioni politiche. In questo caso il faccia a faccia avrebbe un peso simbolico enorme. Secondo alcune indiscrezioni, Giorgia Meloni sarebbe intenzionata a sondare il terreno con il presidente repubblicano in vista di un’eventuale accelerazione sul fronte politico interno.
In altre parole: si guarda già al 2026. O meglio, si valuta l’ipotesi di anticipare il voto in Italia. Non si tratta di un piano dichiarato, ma di un’opzione che si fa strada nei ragionamenti interni a Palazzo Chigi. Un endorsement, anche solo implicito, da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo per Meloni sullo scenario internazionale e, di riflesso, anche su quello italiano. Non è un mistero che la premier lavori da tempo per costruire un profilo più ampio, da leader globale. Dopo aver rafforzato la sua posizione in Europa, ora cerca di rafforzare la sponda oltreoceano.
In questo quadro, l’incontro con Trump non sarà solo un passaggio istituzionale per affrontare la questione dazi: sarà un segnale strategico, un tassello in una visione più ampia. Meloni guarda al presente, ma anche – e soprattutto – al dopo. E l’America potrebbe essere il primo passo di un nuovo capitolo per l’Italia.
Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, ma sa bene di non aver riconquistato tutto il potere. Non ancora. Perché una parte dell’establishment di Washington, quella che non cambia con le elezioni, continua a remare contro di lui. È il cosiddetto Deep State, l’apparato permanente dello Stato federale, che Trump considera il vero ostacolo alla sua agenda. Per questo, subito dopo l’inizio del suo secondo mandato, ha cambiato e licenziato tutti i capi della sicurezza nazionale. Un’azione che va oltre il consueto spoils system: è una mossa mirata, preventiva, strategica. Trump vuole circondarsi solo di persone fedeli, convinto che alcune sezioni dello Stato stiano lavorando attivamente per sabotare la sua presidenza – o peggio. Il paragone che ricorre più spesso, nei discorsi riservati del presidente, è quello con John Fitzgerald Kennedy. Trump avrebbe confidato ai suoi consiglieri di temere un destino simile: «Non voglio finire come lui». Il riferimento è all’omicidio del 1963, che per molti – non solo nei circoli complottisti – rappresenta un esempio estremo di scontro tra presidente e poteri occulti. Trump vede la minaccia. E sta cercando di neutralizzarla prima che sia troppo tardi.