Tra i 27 dell’Unione europea siamo al quattordicesimo posto in termini di facilità del riconoscimento: ma se si tolgono le nazioni dell'Est, siamo agli ultimi posti. E abbiamo perso posizioni con l'introduzione di regole sempre più ferree

Nel 212 d.C. l’imperatore Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutte le comunità dell’Impero, non tanto per facilitarne l’integrazione, ma per motivi fiscali: certe tasse erano dovute solo da chi aveva il privilegio di poter dire: «Civis Romanus sum». Oggigiorno, con la tassazione basata sul principio della residenza, le discussioni sui principi che debbono regolare la concessione della cittadinanza riguardano invece la questione dell’integrazione.

 

Lo ha ribadito Antonio Tajani in un’intervista pubblicata sul Messaggero il giorno di Ferragosto. Tajani ha ribadito la posizione di Forza Italia: «La forza del nostro Paese e le sue potenzialità economiche derivano anche dalla capacità di saper integrare persone che arrivano da fuori…  La nostra posizione è sempre stata a favore dello jus scholae…», precisando però che la questione non era comunque all’ordine del giorno nel governo.

 

Forse dovrebbe esserlo, visto che le norme sulla concessione della cittadinanza in Italia sono piuttosto strette rispetto a quelle di altri Paesi europei, almeno secondo il Migrant Integration Policy Index pubblicato dal Migration Policy Group con sede a Bruxelles e utilizzato anche dalla Commissione europea. L’indice non è aggiornatissimo, riportando dati fino al 2019, ma probabilmente la normativa non è molto cambiata da allora.

 

L’indice (per informazioni più dettagliate si veda la nota di Francesco Scinetti dal titolo “Come viene rilasciata la cittadinanza in Italia e nell’Unione europea” sul sito dell’Osservatorio sui Conti pubblici italiani) ci dice che tra i 27 Paesi dell’Unione siamo al quattordicesimo posto (a pari merito con la Grecia) in termini di facilità della concessione della cittadinanza in base a fattori quali il numero di anni di residenza richiesti, i vincoli alla cittadinanza per i figli degli stranieri, la certificazione linguistica richiesta. Escludendo i Paesi dell’Est Europa, Italia e Grecia si collocano però al terzultimo e quartultimo posto: più restrittivi di noi ci sarebbero solo Spagna e Austria.

 

Da notare che negli ultimi anni siamo arretrati a causa dei decreti sicurezza del governo Conte I che hanno introdotto requisiti più stringenti per la cittadinanza, come l’obbligatorietà della certificazione attestante la conoscenza della lingua italiana, l’aumento del contributo richiesto per richiedere la cittadinanza e l’aumento del termine massimo per la conclusione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza per matrimonio e per naturalizzazione (niente di sconvolgente, ma abbastanza per perdere due posizioni in classifica).

 

Una precisazione. Il citato indice non si riferisce solo alla facilità con cui i minori raggiungono la cittadinanza, la questione più collegata alla proposta dello jus scholae, ma anche in quest’area le nostre pratiche non sembrano particolarmente avanzate. In Italia si arriva alla cittadinanza soltanto alla maggiore età. In Belgio, Germania, Irlanda e Portogallo la cittadinanza si acquisisce alla nascita se i genitori, seppur stranieri, abbiano risieduto nel Paese per un certo periodo di tempo; in Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Spagna è prevista la cittadinanza alla nascita se almeno uno dei genitori è nato nel Paese in questione; in Grecia si richiede, oltre alla nascita di almeno uno dei due genitori nel Paese in questione, la residenza permanente.