Stati Uniti
«Attenzione ai sondaggi per le presidenziali Usa: alcuni sono buoni solo come carta igienica»
Alec Ross, già collaboratore di Obama, sente ancora la ferita della sconfitta di Hillary Clinton. Crede nel successo di Harris. A patto che tenga insieme le due anime degli Usa
Un’infanzia trascorsa in West Virginia, un diploma di laurea in Storia alla Northwestern University, nei sobborghi di Chicago. E lì, nella Windy City, Alec Ross conosce un aspirante senatore dell’Illinois che farà strada. Si chiama Barack Obama. Lavora con lui per sei anni come senior advisor, prima di affiancare Hillary Clinton. Guru dell’innovazione tecnologica e autore di best seller tradotti in tutto il mondo, non ha ancora dimenticato quando nel 2016 alcuni sondaggisti davano per certa la vittoria di Hillary Clinton contro Donald Trump. Ne parla con la durezza di chi ancora sente quella viva quella ferita.
Kamala Harris è circondata da grande entusiasmo. Cosa lo ha innescato?
«La scelta di Kamala Harris sottolinea che la priorità per i democratici è quella di sconfiggere Trump, che rappresenta una minaccia tremenda. Il fatto che Joe Biden sia uscito di scena alla fine di luglio non ha dato spazio a delle primarie aperte. Tuttavia, l’entusiasmo c’è stato fin da subito: i governatori di Michigan e California hanno scelto di sostenerla e non candidarsi contro di lei. È riuscita a unire i democratici».
Eppure, Kamala Harris, stando ai sondaggi, nei quattro anni da vicepresidente, non è mai stata molto apprezzata. Perché?
«Alcuni sondaggi sono buoni solo come carta igienica. Nel 2016 qualche esperto dava sicura al 99% la vittoria di Clinton contro Trump… Kamala Harris, certamente, non è stata amata da tutti, ma nel nostro Paese non esistono leader politici che hanno il 60% di sostegno. Siamo divisi in due in questo momento storico, stiamo provando a ricucire ma senza riuscirci».
E Harris è la persona giusta?
«Non è qualcosa che può riuscire a una singola persona. Per ricucire le differenze ci sarà bisogno di un movimento culturale più ampio. Ho lavorato sei anni per Barack Obama e, nonostante lui abbia fatto tutto il possibile per avvicinare le due parti, non ci è riuscito. Per colmare le distanze servirà almeno una generazione. A oggi, purtroppo, siamo gli Stati Disuniti».
La scelta di candidare Harris sembra avere messo paura a Donald Trump. Come la sta vivendo il suo staff?
«I repubblicani stavano già celebrando la vittoria. Ma troppo presto. Per loro la vittoria di Donald Trump era inevitabile, ma nella politica americana non si può mai usare questa parola. Dopo il tentativo di assassinio ai danni di Trump, si pensava a un trionfo. Adesso è tutto aperto perché negli Stati Uniti tutto è molto volatile: tre o quattro punti nei sondaggi possono spostarsi ogni settimana».
Qualche settimana fa, uno dei principali sondaggisti di Trump parlò di «luna di miele» per descrivere l’andamento dei sondaggi dopo l’annuncio della candidatura di Harris. Pensa che sarà una luna di miele duratura?
«È sempre così. Avrà delle buone settimane davanti a lei, ma per far sì che duri dovrà avere una visione autentica di Stati Uniti. Deve rispondere alla domanda: “Come dovrebbe essere una presidenza Harris?”. Trump, ad esempio, ha deciso di raddoppiare il suo brand con la scelta di J.D. Vance come vice. Due uomini arrabbiati, che urlano e che danno voce all’odio».
E invece come giudica la scelta di Harris di affidarsi al governatore del Minnesota, Tim Walz?
«Tim Walz rappresenta la classe operaia della Middle America, una cultura in forte contrasto con le élite delle coste che Harris rappresenta. Oltre all’affinità tra i due, c’è anche questo: collegano queste due culture, quella californiana e quella del Midwest. Per vincere, Harris dovrà fare bene negli Stati che riflettono la cultura di Walz. Mi sembra una scelta accorta».
Sui social Kamala Harris sta avendo un forte sostegno dei giovani: meme e tweet da milioni di visualizzazioni. Quanto peseranno?
«Spesso, negli Stati Uniti, i giovani elettori hanno tassi di voto molto più bassi rispetto agli anziani perché non si sentono ispirati. I meme che si sono sviluppati su Kamala Harris la fanno sembrare più cool e riconoscibile agli occhi degli elettori più giovani. E questo la aiuta. Quando lavorai alla campagna di Obama, un’immagine creata da Shepard Fairy e una canzone di alcuni artisti basata sul motto della nostra campagna, “Yes, we can”, diedero una definizione culturale alla nostra candidatura. Kamala beneficia di sforzi simili».
Rimanendo sulla Rete: nel 2016 si disse che le fake news del Cremlino giocarono un ruolo importante nella sconfitta di Clinton. Potrebbe accadere anche a Harris?
«Il fatto che la campagna di Hillary Clinton abbia subìto le interferenze delle fake news russe non è una teoria, è un fatto. Le fake news sono un cancro per i sistemi politici e, purtroppo, quando ci sono piattaforme come X che hanno al loro interno una politica di ultradestra, è ancora peggio. Ma volevo dire una cosa…».
Dica.
«Quando parliamo di ultradestra negli Stati Uniti non dobbiamo confonderla con la destra italiana. Donald Trump e J.D. Vance sono degli estremisti. Quando usiamo le parole destra e sinistra in relazione alla politica americana, dobbiamo tenere presente che l’asse politico è molto più spostato».
Dal momento che i repubblicani erano già sicuri di vincere, qualora Trump fosse sconfitto, prevede rischi per la democrazia come già successo nel gennaio 2021?
«Mi aspetterei che se anche Harris dovesse vincere con margine, alcune persone protesterebbero in maniera violenta. Vivono in piccole bolle in cui è difficile immaginare un vincitore diverso da Trump».