L’uomo forte di Kigali esclude qualunque rivale e mantiene la pace interna grazie alle risorse del confinante Congo. E perché fa comodo a Stati Uniti e Europa

Nessuno si aspettava che il presidente e padre-padrone del Ruanda Paul Kagame potesse perdere le elezioni, ma che riuscisse ad ottenere addirittura il 99,15% azzerando quel poco di opposizione che rimaneva ha stupito tutti. Il dato è meno eclatante di quello che potrebbe sembrare perché nelle altre tre elezioni vinte da Kagame la percentuale non era mai scesa sotto il 90% delle preferenze. Gli unici due candidati che sono riusciti a partecipare a questa tornata elettorale sono stati il candidato del Partito Democratico Verde Ruandese Frank Habineza e l’indipendente Philippe Mpayimanache insieme non hanno raggiunto nemmeno l’uno per cento. Due nomi di comodo per il potentissimo presidente ruandese che aveva già eliminato dalla corsa elettorale tutti i possibili pretendenti che potessero avere qualche chance.

 

L’ultima ad essere stata esclusa è stata Diane Rwigara, leader del People Salvation Movement che per la seconda volta non avuto il permesso di candidarsi. «Noi rappresentiamo la stragrande maggioranza dei ruandesi che vivono nella paura e non hanno la possibilità di essere liberi nel proprio paese - racconta Diane Rwigara livida di rabbia - il mondo racconta un Ruanda con un’economia stabile e in crescita, ma la realtà è che qui la gente non ha cibo, acqua potabile né una casa. Per escludermi hanno detto che non sono ruandese di nascita. Io avevo la cittadinanza belga, ma ho rinunciato prima del 2017 e ora sono solamente ruandese. Tutte scuse, come quando mi hanno incarcerato per un anno con l’accusa di incitamento all’insurrezione e poi mi hanno assolta, ma tanto è bastato per bloccarmi».

 

La politica in Ruanda è diventato un argomento molto pericoloso, ma il paese all’apparenza sembra un’oasi di pace e serenità. Venendo dalla confinante Repubblica Democratica del Congo attraverso il passo di Giseniy il cambio di paesaggio è sbalorditivo. Dalla disperazione, la miseria, la violenza che impregna le sciagurate province orientali congolesi si passa a un paese accogliente e sicuro, dove le persone non sono costrette ad abbandonare le proprie case con il terrore di essere uccise, violentate o rapite e trasformate in un soldato di ventura. Questo paradiso artificiale esiste grazie alla continua spoliazione di quel gigante dai piedi d’argilla che è la Repubblica Democratica del Congo dove Kagame arma, addestra e finanzia una milizia ribelle che saccheggia le miniere congolesi ricche di coltan, litio, cobalto, oro e diamanti e nottetempo le trasborda in Ruanda.

 

Mantenere nel caos il Congo è un vecchio business nella Regione dei Grandi Laghi e anche se Kigali ne ha fatto la principale fonte del suo benessere, anche Burundi ed Uganda ne hanno ampiamente approfittato. Paul Kagame si considera il salvatore della patria, che ha effettivamente ricostruito dopo il drammatico genocidio del 1994. Proprio lui aveva guidato il Fronte Patriottico Ruandese alla conquista del paese sconfiggendo i genocidiari hutu che avevano massacrato oltre 800mila tutsi, la stessa etnia dell’attuale presidente. Kagame divenne subito vice-presidente di Pasteur Bizimungu in un governo di unità nazionale, ma nel 2000 prese il potere in prima persona. Bizimungu provò a formare un partito, ma venne arrestato e condannato ad una pena di 15 anni, con l’accusa di aver formato una milizia per organizzare un colpo di stato. Da allora Paul Kagame ha governato con pugno di ferro soffocando ogni forma di dissenso con tutti i mezzi, anche i più cruenti. Nel 2014 quando l’ex capo dei servizi segreti ruandesi Patrick Karegeya, divenuto strenuo oppositore di Kagame, era stato trovato strangolato in un albergo in Sudafrica, l’uomo forte di Kigali aveva dichiarato in un comizio che chiunque dovesse tradire il Ruanda ne pagherà le conseguenze. Tanti sospetti, ma nessuna prova concreta anche se il governo sudafricano aveva espulso quattro diplomatici ruandesi sospettati di essere coinvolti nell’omicidio.

 

Il caso più eclatante del modus operandi di Kagame è però quello di Paul Rusesabagina, il cosiddetto eroe dell’Hotel des Mille Collines reso celebre dal film hollywoodiano ”Hotel Rwanda”. Rusesabagina, di etnia hutu dirigeva l’Hotel des Mille Collines quando scoppiò la violenza in Ruanda contro i tutsi. Riuscì a mettere in salvo 1268 persone nascondendole nell’hotel ed evitando l’ennesimo massacro. Rusesabagina si era poi trasferito in Belgio, dove aveva ottenuto la cittadinanza e solo all’inizio degli anni 2000 era diventato famoso. Nel 2006 aveva però denunciato Paul Kagame al Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda ed aveva fondato un partito di opposizione per contrastare il presidente ruandese, diventando così il nemico pubblico numero uno. Nel 2020 per farlo tornare in Ruanda era stato addirittura dirottato il volo dove viaggiava, che invece che atterrare nel vicino Burundi, atterrò a Kigali dove venne immediatamente arrestato. Paul Rusesabagina venne condannato a 25 anni di carcere per terrorismo, accusando il braccio armato del suo partito di voler rovesciare il governo ruandese. Soltanto l’intervento internazionale di Qatar, Belgio e Stati Uniti aveva convinto Paul Kagame a concedere la grazia e permettergli di partire per gli Stati Uniti. 

 

Un quadro a tinte fosche che oggi non è cambiato come racconta la storica oppositrice Victoire Ingabire. «Non sono bastati nemmeno otto anni di ingiusta detenzione per concedermi il diritto di candidarmi alle elezioni. La Corte di Giustizia ha rifiutato la mia riabilitazione, ma è una decisione politica per eliminare un avversario pericoloso. Non posso presentare ricorso per due anni e sicuramente verrò nuovamente bloccata. Da tempo denunciamo la situazione del nostro paese, ma nessuno all’estero vuole ascoltare. Il Ruanda gode di ottima reputazione internazionale per quanto riguarda per esempio i diritti delle donne, ma in realtà discrimina ogni tipo di dissidenza. 

 

Io ho vissuto sulla mia pelle questa repressione da quando sono tornata in Ruanda nel 2010 per fondare il mio partito e candidarmi alle elezioni presidenziali. Da allora non ho più potuto lasciare il paese e sono stata arrestata con l’accusa di cospirazione contro il governo e negazione del genocidio. Nel 2012 sono stata condannata a 15 anni di reclusione con un processo politico. Sono stata rilasciata nel 2018 per grazia del presidente, ma sono stata perseguitata e tutti quelli vicino a me sono stati arrestati dalla polizia. Questo è il Ruanda che il mondo si rifiuta di vedere, questo è il Ruanda che fa comodo a Stati Uniti ed Europa per garantire stabilità o creare instabilità». Paul Kagame è amato dagli occidentali ai quali risolve molti problemi, come quando la Francia ha ingaggiato un migliaio di soldati ruandesi per difendere gli impianti petroliferi sotto attacco dei jihadisti in Mozambico, ma è soprattutto un uomo pericoloso che tiene prigioniero il proprio popolo.