I nuovi modelli non si limitano a elaborare dati, ma costruiscono anche catene di ragionamenti per arrivare a soluzioni complesse. E, come dimostrano gli ultimi studi e nonostante alcuni limiti, spesso ci si trova davanti a intuizioni più accattivanti di quelle nate da persone reali

L’intelligenza artificiale sta facendo un enorme salto in avanti: non si limita più a rispondere alle domande, ma ora è in grado anche di “pensare”. I nuovi modelli di Ia non si fermano alla semplice elaborazione dei dati, ma costruiscono vere e proprie catene di pensieri per arrivare a soluzioni più complesse. Questo cambiamento rende l’Ia capace di ragionare in modo simile a come farebbe un essere umano, valutando diverse opzioni prima di prendere una decisione.

 

Un esempio concreto di questa evoluzione è il modello o1 di ChatGpt. Questo nuovo modello rappresenta un importante passo in avanti rispetto ai suoi predecessori, soprattutto per la sua capacità di affrontare problemi complessi. Durante dei test, ChatGpt o1 ha dimostrato di essere molto più efficiente rispetto ai modelli precedenti, risolvendo l’83 per cento dei problemi in un test di matematica avanzata, contro il 13 per cento del modello Gpt-4o. Oltre alla sua precisione, si è dimostrato anche più sicuro, resistendo meglio ai tentativi di manipolazione o di utilizzo scorretto.

 

OpenAI non ha rivelato molti dettagli tecnici su come funzioni esattamente il modello o1, ma ha confermato che si basa su un approccio chiamato «chain of thoughts» (catena di pensieri), in cui il sistema sviluppa una sequenza di ragionamenti prima di arrivare a una risposta finale. Questo lo rende particolarmente adatto non solo a risolvere problemi matematici complessi, ma anche a rispondere a domande che richiedono conoscenze approfondite, come quelle che potrebbero essere poste in un contesto accademico di alto livello, ad esempio a livello di dottorato.

 

A proposito di questo, se fino a poco tempo fa si pensava che generare nuove idee e scoperte fosse un campo esclusivo degli esseri umani, ora le cose stanno prendendo una piega inaspettata: le intelligenze artificiali non solo riescono a generare nuove idee di ricerca, ma spesso tali idee risultano anche più originali e interessanti rispetto a quelle prodotte dagli scienziati umani. E questo non è solo un parere soggettivo, ma il risultato di uno studio condotto con ricercatori esperti.

 

In uno studio, infatti, oltre 100 esperti di linguistica provenienti da 36 istituzioni si sono confrontati con idee generate dall’intelligenza artificiale. Ogni ricercatore ha proposto idee su sette temi specifici, mentre l’Ia ha fatto lo stesso. Per garantire un confronto imparziale, le idee sono state rese simili nello stile di scrittura e poi valutate “alla cieca” da una giuria di esperti, che ha giudicato la loro originalità, il loro interesse e la loro fattibilità.

 

I risultati sono stati sorprendenti: le idee generate dalle Ia i sono risultate più innovative e stimolanti rispetto a quelle degli esperti umani. Nonostante abbiano ottenuto un punteggio leggermente inferiore per quanto riguarda la fattibilità, cioè la possibilità di mettere in pratica quelle idee, la differenza non era così significativa da ribaltare il risultato complessivo. Insomma, sul fronte della creatività, le macchine hanno battuto gli umani.

 

Ovviamente, non tutto è perfetto: ad esempio, nonostante siano state programmate per evitare la ripetizione, le idee generate dalle Ia tendevano a diventare ripetitive dopo un po’. Inoltre, quando si è trattato di valutare e classificare le proprie idee, le intelligenze artificiali non sono riuscite a farlo con la stessa coerenza degli umani, mostrando una certa difficoltà nel giudicare la qualità del proprio lavoro.

 

I ricercatori che hanno condotto lo studio non si fermano qui. Il loro prossimo passo sarà organizzare una seconda fase, più approfondita, dove le idee (sia umane sia generate dalle Ia) verranno sviluppate in veri progetti di ricerca per vedere l’impatto concreto di queste idee nel mondo reale e capire meglio quanto effettivamente possano contribuire al progresso scientifico. Tuttavia, i primi risultati ci fanno già riflettere su come l’intelligenza artificiale potrebbe influenzare il futuro della ricerca.

 

Nonostante i difetti che, come detto, sono molteplici, i molti ricercatori credono che siamo vicini a un punto di svolta. Potremmo presto arrivare a una forma di super-intelligenza generale, dove le Ia non solo ci aiuteranno, ma ci supereranno in molti campi.

 

In definitiva, questi risultati aprono una riflessione importante: l’intelligenza artificiale sta dimostrando di avere un ruolo sempre più centrale anche in ambiti complessi come la ricerca scientifica, dove la creatività e l’innovazione sembravano prerogative esclusivamente umane.

 

Pur essendoci ancora passi da fare per migliorare la fattibilità e l’affidabilità delle idee generate dall’Ia, ciò che stiamo vedendo non è solo una novità tecnologica, ma pure un cambiamento radicale nel modo in cui pensiamo e realizziamo il progresso scientifico. Non si tratta di competizione tra uomini e macchine, ma di una nuova fase in cui le capacità complementari dell’intelligenza artificiale e umana potrebbero portare a una sinergia destinata a spostare il confine di quello che, a oggi, crediamo possibile.

 

Ogni settimana, su L’Espresso, Marco Montemagno racconta un tema, una storia o un personaggio legati al mondo dell’Ia e della tecnologia