le gaudenti note
Come le canta Marracash
Nel disco “È finita la pace” il rapper si sfoga contro politici e colleghi. Con brani che frustano il presente e rendono omaggio al passato
Èarrivato dal nulla, senza annunci e conto alla rovescia. Non lo abbiamo visto arrivare, si potrebbe dire alla lettera, perché questa volta Marracash ha deciso di uscire all’improvviso. Fin dalle prime parole sembrerebbe che con questo disco abbia voluto rispondere a quelli che da tempo, giustamente, lamentavano un certo senso di vuoto, di latitanza di contenuti nel complesso della nuova scena italiana, rap e trap in testa. “È finita la pace”, così si intitola il disco, potrebbe essere una dichiarazione di intenti, un grido di battaglia da parte di uno della vecchia guardia del rap, forse anche irritato da quello che il genere musicale di cui è protagonista sta producendo di questi tempi così poco generosi per la musica italiana. L’impressione è confermata dall’incipit, “Power slap”, che inizia con «mi sono ripreso, Ok, sono pronto», come uno che si è preparato a lungo e ora arriva a dire tutto quello che va detto: «Chiedi ai colleghi, tutti diranno che sono strano, che sono matto», spara, «molti diranno: "Marra è un bastardo", intanto nessuno può dire che sono falso, favori non ne chiedo e non ne faccio più, tu da quanti ca**i succhi fai il Calippo tour, non cerco nostalgia e non inseguo i new, remaster, remake, reunion, reboot, ne abbiamo piene le palle»: e se lo dice Marracash, figuriamoci noi. Pezzo dopo pezzo ne ha per tutti, governo, colleghi, ipocrisie di vita quotidiana, «come se una guerra l’abbiamo già persa», dice in “Gli sbandati hanno perso”, con buona pace dei congiuntivi: ma in realtà è anche un disco pieno di raffinatezze, di guizzi poetici per nulla banali come «il passato è solo un sogno a cui dopo diamo sostanza» (da “Pentothal”, una delle migliori del disco). Nessun ospite, che di questi tempi è una rarità, ma ci sono campionamenti preziosi. La title track inizia con “Firenze (Canzone triste)” di Ivan Graziani, su cui il flow di Marracash entra con eleganza e rispetto, “Factotum” riprende addirittura un “Kirie eleison” ripescato dalla “Missa Luba”, una messa africana che tanti anni fa ricevette una certa attenzione dagli appassionati di world music, per poi scivolare su una base in puro stile Massive Attack. Il disco è interessante perché aggira il problema principale della scena attuale, ovvero la ripetitività, la banalizzazione di tutto. C’è tanta rabbia, ma c’è anche amore, c’è disperazione, di tanto in tanto affiorano brandelli melodici. A 45 anni compiuti Marracash si concede il lusso di fare esattamente quello che gli pare. Non è la prima volta, certo, ma tutto è relativo e questi pezzi oggi fanno inevitabilmente più rumore del solito, in un mondo dove nessuno più dice nulla.