personaggi e interpreti
Cosa ci insegna la vicenda di Cecilia Sala
Ha prevalso l’idea di raggiungere un risultato importante senza rinfacciarsi colpe e disastri
L’operazione per la liberazione di Cecilia Sala è stata un capolavoro politico che ha fatto salire di cinque punti la fiducia in Giorgia Meloni (e di nove punti i giudizi positivi sul suo governo, come rivela l’ultimo sondaggio Youtrend). La presidente del Consiglio è riuscita a trasformare una crisi spinosa in un successo personale e, per una volta, collettivo. Con una cura quasi maniacale per i dettagli, ha gestito non solo le trattative con il governo iraniano, ma anche l’epilogo della vicenda. Tutti abbiamo notato che, dopo aver telefonato alla madre della giornalista per annunciarle la liberazione della figlia, lei ha scelto di restare in seconda fila all’aeroporto di Ciampino, lasciando che fossero il fidanzato e i genitori ad abbracciare Cecilia per primi. Una regia impeccabile, che ha unito strategia politica e tatto umano.
Questa storia ha regalato agli italiani uno spettacolo raro: per due settimane, governo e opposizione hanno collaborato in silenzio per un obiettivo comune. Tutti hanno remato nella stessa direzione, sostenendo gli sforzi per riportare Cecilia Sala a casa. «C’è un tempo per la polemica politica e uno in cui bisogna unirsi come Paese per essere più forti», ha detto nell’aula di Montecitorio il deputato del Pd Peppe Provenzano. Parole che, per una volta, sembrano uscite da una sceneggiatura ben scritta e non dall’improvvisazione teatrale a cui la politica ci ha abituati.
Sembrerebbe che Giorgia Meloni abbia voluto evitare di ripetere l’errore commesso con Ilaria Salis, un caso certamente diverso sul piano giudiziario ma con due importanti analogie con quello di Cecilia Sala. Anche allora c’era una cittadina italiana rinchiusa in una fetida cella di un Paese straniero, e anche allora - come ha fatto stavolta volando da Trump a Mar-a-Lago - la presidente del Consiglio avrebbe potuto sbloccare l’impasse facendo valere i buoni rapporti con un capo di governo, il premier ungherese Viktor Orbán, che è addirittura un suo vecchio amico oltre che un sodale politico. Se Giorgia Meloni fosse riuscita a riportare in patria la militante italiana - dimenticando che apparteneva a un’area politica opposta alla sua - forse avrebbe raccolto lei i meriti di quella scarcerazione, invece di regalare un successo elettorale alla lista Verdi-Sinistra che ha ridato la libertà alla Salis facendola passare direttamente dal carcere di Budapest all’Europarlamento di Strasburgo.
Stavolta, invece, lei ha agito con determinazione e discrezione, ottenendo rapidamente il risultato sperato. I confortanti segnali che le consegnano i sondaggi forse la spingeranno a riflettere su due dati. Il primo è che agli italiani piace l’idea di una politica capace persino di mettere da parte veleni e ripicche, quando è in gioco un bene superiore. Il secondo è che una premier che riesce a centrare gli obiettivi volando al di sopra delle antiche rivalità politiche risulta più gradita agli elettori di una premier che in Parlamento duella con gli avversari con la veemenza di quando era all’opposizione, come se ogni volta dovesse dimostrare che chi ha governato prima di lei ha sbagliato tutto.
Insomma, l’avventurosa vicenda di Cecilia Sala ci ha regalato un’occasione per credere, anche solo per un attimo, che si possa raggiungere un risultato importante senza che i protagonisti della politica si rinfaccino a vicenda colpe e disastri. Non durerà. Ma per adesso lasciamoci cullare dall’illusione che, ogni tanto, l’Italia sappia essere migliore di quanto crediamo.