Il mercato dell'auto
Elettrico sì, ma scadenze più realistiche
"Continuiamo a investire. In uscita 100 nuovi modelli, ma la domanda è bassa. I costi sono ancora alti e l'automotive non merita le multe Ue", dice de Meo, ceo di Renault
Per l’Europa dell’auto sarà un anno decisivo. Le tappe che porteranno allo stop dei motori nel 2035 stanno colpendo duro i bilanci dei costruttori e il portafoglio dei consumatori. Crisi, ristrutturazioni e cassa integrazione sono le parole che si sentono più spesso. Servono dunque risposte immediate e chiare da parte della politica, ma anche di un’industria che con 13 milioni di posti di lavoro vale l’8 per cento del Pil dell’Unione. Risposte che prova a dare Luca de Meo, dal 2020 ceo del gruppo Renault e fino a dicembre scorso presidente dell’associazione costruttori europei. «Dobbiamo tornare indietro, ma per ripartire in avanti», è la sua idea di fondo. Quasi uno slogan per il manager, classe 1967, che è stato anche uno dei “Marchionne Boys” in Fca, dove ha guidato la Fiat e il marketing del gruppo fino al 2009.
De Meo, ora la discussione sulla crisi automotive passerà in sede comunitaria, condotta direttamente da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue. Cosa si aspetta?
«Devo essere ottimista. L’errore peggiore sarebbe rinchiudersi su una posizione retrograda. Dobbiamo essere pragmatici e organizzarci per vedere cosa non ha funzionato in questa transizione. Dobbiamo soprattutto far saltare le forche caudine delle multe previste proprio quest’anno per chi non raggiunge i valori di CO2 stabiliti, tra l’altro nel 2018. Non è possibile e sarebbe sbagliato costringerci a pagare 15 miliardi senza pensare alle conseguenze negative e all’enorme impatto sull’economia. Cosa abbiamo fatto di male? Nei prossimi anni usciranno 100 modelli elettrici, di più non potevamo fare. È la domanda che manca».
Quindi, come pensa che l’industria possa affrontare questo periodo?
«Dobbiamo tornare indietro ma per ripartire in avanti. Sono assolutamente convinto che non bisogna vanificare lo sforzo fatto fin qui, ovvero la riduzione dell’impatto ambientale del trasporto privato. Quindi fare quanto previsto guardando però l’evoluzione del mercato e non pensando soltanto a rispettare date che sono state stabilite troppo tempo fa. In un mercato che sarà abbastanza stabile anche quest’anno l’unico segmento in crescita sarà quello delle vetture elettriche o elettrificate. Personalmente non credo più di tanto nell’elettrico al 100 per cento perché così dirà il mercato. Ma anche se le auto a batteria arrivassero al 50/60 per cento in Europa sarebbe comunque l’unico segmento in crescita. Il che significa che dobbiamo continuare a investire sull’auto elettrica dove l’industria europea ha già messo sul piatto 250 miliardi da qui al 2030».
Ma è possibile investire e pensare agli sviluppi futuri con scadenze così ferree imposte dall’Unione Europea?
«Sta diventando molto difficile. Il problema è che le condizioni che avrebbero dovuto permettere di raggiungere un certo obiettivo non si sono realizzate e ora molti dicono che sono stati i costruttori a non aver fatto il lavoro. È sbagliato, almeno per quanto riguarda Renault, perché abbiamo destinato la maggior parte dei nostri investimenti proprio in ricerca e sviluppo. È vero che le elettriche sono care e non le comprano. Ma è anche vero che le elettriche hanno una batteria che costa tre volte un motore a combustione e noi non controlliamo la catena del valore né l’accesso alle materie prime. Per esempio, è troppo alto il costo dell’energia che arriva al doppio del costo del lavoro. Non solo, occorre tempo anche per ampliare la rete di ricarica. Attualmente vengono installati 2 mila punti alla settimana mentre ne servirebbero 17 mila in Europa per tenere il volume di crescita attuale»
Anche per le Gigafactory in Europa non è andata come previsto?
«Certo. Forse qualcuno pensava che fosse semplice aprirle, quasi fosse un forno che dopo due giorni produce brioche perfette. Noi che siamo stati i primi in Europa abbiamo impiegato dieci anni per arrivare agli attuali livelli. Ci vuole tempo e invece ora tutto il problema è legato a queste scadenze ferree, a un giorno preciso di un anno preciso. Si sono accordati, nel 2018, su una sola tecnologia che in pochi anni avrebbe dovuto mettere sul mercato un quarto di vetture elettriche del totale di vendita. Ci sarebbe voluto un mago per realizzare un progetto del genere. Insomma, se non crei un sistema che è possibile correggere non può funzionare, questa per me è la verità».
La data del 2035 è rivedibile?
«In 10 anni possono capitare tante cose. Dobbiamo affrontare i problemi anno per anno. Al 2030 dovremo produrre una media del 50 per cento di vetture elettriche e oggi siamo al 15 per cento. Se non cambia qualcosa sarà impossibile raggiungere anche quel traguardo. Quindi, almeno nel breve termine servono incentivi altrimenti gli obiettivi non si raggiungono».
I cinesi sono arrivati in Europa. Come bisognerebbe rispondere a questa invasione?
«I cinesi hanno già investito 230 miliardi di dollari nell’auto elettrica. Penso che abbiano fatto un grandissimo lavoro e molti gruppi sono davvero competitivi. Il problema è che sono partiti 10 anni prima di noi europei e che ora questo tempo sembra irrecuperabile. Però, a lungo medio termine, anche noi possiamo fare altrettanto, ma solo se continuiamo a investire. Nel breve periodo, invece, l’Europa potrebbe ricavare un certo vantaggio costruendo un modello competitivo di cooperazione con i cinesi. Quindi, nessuna ragione di impedirgli di offrire buoni prodotti ma negoziare sempre».
Al presidente Trump il Green deal non interessa e ha detto che con lui ogni americano sarà libero di scegliere l’auto che preferisce. Ci sarà un effetto sull’Europa e sulla scelta elettrica?
«Sicuramente ci sarà qualche conseguenza perché molti approfitteranno di questa condizione per rimettere completamente in discussione il Green deal e tornare indietro. Io penso, invece, che per l’Europa si tratti di un’occasione per diventare il campione del clima. Abbiamo competenza e sensibilità per realizzare questo obiettivo. Dobbiamo essere capaci di lavorare su più soluzioni, certi che non tutte vedranno la luce, ma non fermarci per questo».
Honda e Nissan stanno definendo una nuova alleanza anche per competere meglio con i cinesi e affrontare il mercato europeo. Crede nelle alleanze?
«Ho un’esperienza diretta al riguardo. Negli ultimi 20-30 anni abbiamo visto manager convinti che le alleanze fossero la chiave per vincere a livello finanziario e di mercato. Però, se ora guardiamo ai grandi gruppi che sono stati creati non mi sembra che la loro salute sia proprio ottima. Basti pensare che Toyota da sola è diventata leader mondiale grazie a una crescita organica. Quelli che vanno bene sono quelli che si sono focalizzati sul prodotto e non hanno perso tempo in puzzle spesso inutili. Insomma, la taglia di un gruppo è oggi una condizione necessaria ma non più sufficiente per vincere. Anche perché non c’è una soluzione che funzioni in tutti i luoghi del mondo».
E a proposito di mercato, in Europa, a dicembre, avete superato per la prima volta Stellantis con una crescita del 16,6%. La Dacia Sandero è stata l’auto più venduta in Europa. Quali sono i vostri obiettivi?
«Abbiamo lavorato bene gli ultimi 4 anni portando a termine una ristrutturazione veloce e brutale. Siamo stati attenti a mettere in campo i prodotti giusti, dalla R5 alla prossima Twingo, che è la cosa più importante e il mercato ci sta dando ragione. La nostra gamma di modelli a fine 2025 sarà la più giovane d’Europa. Questa è la vera arma vincente perché il nostro mestiere è fare automobili».