"Adolescence", crudo capolavoro in piano sequenza

Un femminicidio, la distanza siderale tra genitori e figli, la tossicità del mondo che abitiamo. La mini serie inglese in quattro episodi (Netflix) è un viaggio emotivo imperdibile

Nasce come un thriller e si trasforma in un flusso di coscienza e come un coltello, affonda, e resta lì, mentre il mondo gira intorno. “Adolescence” (Netflix), inaudita serie in quattro episodi scritta e interpretata da Stephen Graham e diretta da Philip Barantini, ti prende per i capelli e ti trascina in un universo insondabile, quello dell’età perduta lasciandoti all’angolo come un grumo, dopo aver visto un piccolo capolavoro di introspezione sociale girato in piano sequenza e dominata dalla fragilità comune. Al netto del cast, che regala una prova rara (Erin Doherty nei panni della psicologa, Ghram il padre devastato, l'inaudito Owen Cooper) la miniserie è nuda, cruda ed emotivamente spietata. Si apre con un femminicidio e l’arresto del colpevole ma poi tutto sfugge, il giallo si chiude, la vittima si dimentica, e resta il nero, di un dolore profondo, radicato negli adulti e nella loro incapacità assoluta di sapere e comprendere, nella rabbia cieca della scuola, nell’analisi che scava e tira fuori l’impensabile e nella famiglia che si frantuma in mille pezzi.

 

Intanto si intrecciano temi e non detti, il cyberbullismo, la cultura incel, l’ansia da prestazione, la donna da piegare, i social da dominare. E la ripresa ininterrotta imprigiona protagonisti e spettatori, lasciandoli senza aria, senza via d’uscita. I genitori sono mosche devastate in una stanza chiusa che rimbalzano da un muro all’altro, colpevoli di non aver saputo guardare il loro figlio, amato e sconosciuto, incapaci di affrontare una tragedia, impotenti nel tenere insieme i pezzi che hanno preso altre strade: «Mi dispiace ragazzo, avrei dovuto fare di meglio». Jamie, il piccolo, timido, mostruoso Jamie è schiacciato dalla claustrofobica pretesa di approvazione degli altri («Ma ti piaccio? Io ti piaccio?») e incatenato alla certezza dell’inevitabile («Non ho fatto niente di male, te lo giuro»). E mentre la camera non molla, stringendo ognuno al suo angolo, ci si chiede cosa abbiamo trasmesso ai nostri ragazzi se non un mondo sempre più tossico e misogino, in cui le domande si moltiplicano senza la possibilità di tradursi in risposta.

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