Cultura
marzo, 2025
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Cuore, storie e paranoie. Colloquio con Pilar Fogliati

L’attrice interpreta una ragazza al primo incontro in Follemente, la nuova commedia di Genovese. E doppia Ansia in Inside Out. “Felice che la terapia non sia più un tabù”

Sento il bisogno di raccontare la mia generazione. Dopo il film “Romantiche” e la serie “Odio il Natale”, adesso con “Follemente” esploro la complessità delle relazioni di oggi: mi piace tuffarmi in ruoli contemporanei, per capirci anche qualcosa in più». L’attrice e regista Pilar Fogliati, 32 anni, non conosce filtri. La sua energia è travolgente come l’ironia e la sincerità con cui racconta a L’Espresso le sue sensazioni e i progetti di una carriera sempre più in ascesa. Dopo aver doppiato il nuovo personaggio Ansia di “Inside Out”, Paolo Genovese l’ha scelta come protagonista della nuova commedia romantica corale “Follemente”, in questi giorni al cinema, in cui interpreta una ragazza al suo primo appuntamento, piena di pensieri ed emozioni che hanno i volti di Emanuela Fanelli, Claudia Pandolfi, Vittoria Puccini e Maria Chiara Giannetta.

 

Quali sono le difficoltà dell’innamoramento oggi?

«Sono aumentate le pippe mentali che ci facciamo, posso dirlo? Ci siamo complicate le cose, magari siamo più consapevoli di cosa sia un comportamento tossico, ma questo non vuol dire che le relazioni siano diventate più facili. Ho trovato molto verosimile la sceneggiatura di “Follemente”, mentre viviamo ci sono voci nelle nostre teste che ci dicono “Stai parlando troppo”, oppure “Ecco, lo sapevo, stai dicendo qualcosa di noioso e sbagliato”».

 

Quale delle voci tende ad ascoltare di più?

«Quella razionale, che nel film è interpretata da Pandolfi. Tendo a razionalizzare molto, ma ho anche momenti d’istinto e follia alla Fanelli e Giannetta e momenti romantici alla Puccini. È stato bello avere “nella mia testa” attrici che già stimavo».

 

Ad ansia com’è messa?

«Bene, ce l’ho. Il successo del nuovo “Inside Out” si deve anche all’aver rovesciato il tabù che ancora oggi circonda i problemi legati all’ansia. La protagonista aveva un attacco di panico, e mostrarlo in un film d’animazione di così ampia portata mi è sembrato rivoluzionario, spero vinca l’Oscar. L’ansia esiste, accettiamola».

 

Che rapporto ha con la terapia?

«Sono felice non sia più un tabù, però per molti è ancora un lusso. Io me la posso permettere, ma bisogna renderla molto più accessibile per tutti e continuare a parlarne il più possibile, anche al cinema».

 

Il cinema ha ancora il potere di aprire le menti?

«Vedere le vite degli altri sullo schermo spalanca orizzonti e apre discussioni. Per questo trovo di una tristezza infinita il fenomeno della chiusura di tante sale cinematografiche, andrebbe fermato. Il cinema ha un valore sociale, crea comunità culturali, va salvato».

 

Come definirebbe la sua generazione? 

«Quella del “potrei ma non posso”: diventa sempre più difficile prendere decisioni, data la forte precarietà che ci porta ad avere terrore del per sempre. Come delle case, sempre più difficile potersele permettere. E così il cambio casa o il cambio vita resta un desiderio sospeso chissà quanto. Ci hanno un po’ tagliato le gambe, se non ti puoi permettere la casa e la vita costa troppo che fai? L’idea di aprirsi un chiringuito e ciao non è così incomprensibile».

 

In “Follemente” si ironizza anche sul “nido”, la maternità è un tema su cui si discute molto oggi, anche politicamente.

«La politica non va fatta dicendo alle donne “dovete avere figli”, ma tutelando la libertà di scelta di averne come di non averne. Una donna non dev’essere definita per questa scelta, come un uomo deve essere libera di volere o non volere figli. E se abortire o non abortire. Mi fa rabbia pensare che c’è gente che pensa di poter togliere alle donne questo diritto, quando la decisione sul nostro corpo spetta solo a noi e nessuno deve permettersi di dire nulla. La politica semmai dovrebbe occuparsi di creare le condizioni per cui le donne che vogliono figli possano scegliere liberamente e con felicità di farlo, senza dover rimandare in eterno perché non possono permetterselo».

 

Educazione sentimentale nelle scuole: è a favore?

«Non come materia. Mia sorella è al liceo, non ce la vedo a fare lezione di sentimento. Meglio farle leggere i libri giusti, approfondire testi della letteratura o dei poeti che educano al rispetto e possono arrivare ai ragazzi in maniera più diretta».

 

Si sente libera come artista nell’Italia di oggi?

«Sento che iniziano a esserci argomenti intoccabili, mi dispiace. L’arte non deve avere censura, deve essere anarchica, è bella per quello, perché ci fa evadere. Mi fa un po’ paura l’ondata di censura che sento in giro. E di autocensura: io stessa ci penso due volte prima di esprimere un’opinione su un fatto sui social, per codardia, perché c’è tanto odio in giro e le shitstorm fanno male. Ma scegliere di non parlare è sempre la scelta sbagliata».

 

Come donna si sente rappresentata?

«Ho tanti bei punti di riferimento di donne toste che sanno farsi valere nel mio ambiente, su tutte Paola Cortellesi, di cui ho amato “C’è ancora domani”».

 

Anche lei ha debuttato alla regia, con il suo “Romantiche”.

«Sto scrivendo una nuova commedia, sempre sullo stesso stile. E non vedo l’ora che si smetta di parlare di “noi registe donne”, vorrà dire che avremo raggiunto il momento in cui sarà normale».

 

I suoi maestri chi sono?

«Giovanni Veronesi, che mi ha diretto in “Romeo è Giulietta”. Continua a essere sempre curioso e spingersi oltre, sembra cinico ma ha una generosità unica. E ovviamente mia madre che a 60 anni, dopo aver fatto un sacco di lavori, oggi fa il lavoro della sua vita, in una casa famiglia che si occupa di minori in difficoltà».

 

Cosa direbbe oggi alla Pilar che tentava il provino all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico?

«“Daje Pilly che ce la fai. E se non ti prendono, riprovaci”. Spoiler: mi hanno preso al primo provino».

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