Ora le critiche al decreto Sicurezza, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 4 aprile ed entrato in vigore il 12, non sono solo di merito, ma anche di metodo. Perché con la scelta di trasformare quel che era un disegno di legge in un decreto, il governo ha di fatto bypassato le lungaggini dell’iter parlamentare per far entrare subito in vigore un pacchetto di norme richiamandosi a quei casi di “necessità e urgenza” di cui parla la Costituzione. Ma da più parti si sono alzate voci che hanno messo in discussione la sussistenza di queste condizioni, considerato anche che il testo originario - che è stato quasi completamente recepito dal nuovo - faceva la spola tra le aule parlamentari ormai da più di un anno. L’ultimo a intervenire contro lo strumento scelto dal governo è stato il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi: “Certamente - ha sottolineato in audizione davanti la commissione Affari costituzionali della Camera - la situazione del Paese in generale, pur prendendo atto che esistono tensioni e contrasti, a molti di noi non era parsa così grave ed esasperata da poter giustificare un provvedimento d'urgenza di questo tipo, però ne prendiamo atto. Il problema di costituzionalità si pone. Valuteremo questioni di costituzionalità di questo tipo se saranno sollevate da avvocati”.
"Decisioni di carattere politico"
Ma oltre il decreto, ci sono tutte quei provvedimenti che hanno fatto portato Antigone a definire il decreto Sicurezza “il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana”. Parodi, di fronte ai parlamentari che dovranno convertire in legge il nuovo pacchetto securitario entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore, parla esplicitamente di “decisioni di carattere politico” contenute nel provvedimento. “Un aspetto che ci ha colpiti - ha aggiunto - è il contenuto numerico del provvedimento: 14 fattispecie di reato (con aggravanti in nove casi) che hanno determinato un oggettivo inasprimento del sistema sanzionatorio. Inoltre, la scelta di un aumento delle fattispecie di reato non è tanto in sintonia con l’esigenza di far fronte invece all’emergenza del sovraffollamento delle carceri: se le fattispecie portano ad un nuovo aumento delle persone carcerate, la problematica del sovraffollamento aumenterà”. Parole di segno contrario rispetto a quelle del ministro della Giustizia Carlo Nordio che, rispondendo al Question time al Senato, aveva sostenuto che l’aumento dei detenuti nelle carceri non è dettato dai nuovi provvedimenti adottati dal governo.
Poi Parodi è passato a dettagliare più nello specifico le singole disposizioni più problematiche: “Alcuni aspetti che ci hanno colpito sono il giro di vite nei confronti delle detenute madri. Per il reato di occupazione di immobili e la resistenza passiva sono state invece previste pene che come entità non corrispondono al principio di proporzionalità". Per Parodi "rivedere il criterio di proporzionalità delle pene potrebbe essere una risposta ragionevole". Infine "per alcuni colleghi c'è una percezione che questo tipo di risposta sia un attacco alla marginalità e al disagio, che secondo altri potrebbero necessitare invece di una risposta diversa. Questa riposto è quindi interpretata da alcuni come puramente repressiva e non in sintonia con le esigenze di chiarimento e di dialogo che il Paese propone”.
Camere penali: "Criminalizzate specifiche categorie"
Per il presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, Francesco Petrelli, anche lui in audizione in commissione sul decreto Sicurezza, “le norme in questione sembrano criminalizzare determinate condotte di marginalità e di dissenso individuando categorie di persone come il manifestante, il disobbediente, l'imbrattatore, l'occupante, l'irregolare, come se fossero appunto categorie da criminalizzare”. Secondo Petrelli si sta andando “verso un diritto penale totale, che aggredisce tutte le forme del disagio”. Riguardo alla necessità un decreto legge per questioni urgenti, ha aggiunto, “il fatto che si sia intervenuto con un decreto legge, che riprende le stesse norme contenute nel disegno di legge all'esame del Parlamento, è una modalità offensiva delle prerogative del Parlamento, nel momento in cui quegli elementi di novità che dovrebbero rappresentare la decretazione d'urgenza non sono ravvisabili”.