Facebook, Instagram e WhatsApp iniziano a utilizzare i contenuti pubblici degli utenti per addestrare la propria intelligenza artificiale

Ci si può opporre, ma bisogna fare attenzione ai dettagli

Se ne era parlato tanto nelle scorse settimane, dopo mesi di informazioni contrastanti e dubbi legali, in attesa del via libera delle autorità europee per la privacy, in particolare la Irish Data Protection Commission (Dpc) e il Comitato europeo per la protezione dei dati (Edpb). E fra Pasqua e Pasquetta Meta ha iniziato ad inviare le prime mail agli utenti invitandoli, fra una Colomba e un Casatiello, a prestare attenzione alla propria Identità digitale.

Addestrare l'Ia con i dati pubblici europei

Meta specifica che saranno utilizzati esclusivamente i contenuti pubblici degli utenti maggiorenni europei. Questo potrebbe non farci sentire direttamente coinvolti, ma in realtà l’allert ci riguarda tutti. “L'Ia di Meta è la nostra raccolta di funzioni ed esperienze di Ia generativa”, si legge nella comunicazione inviata dalla società, che continua “i modelli sono resi disponibili su una piattaforma aperta per supportare ricercatori, sviluppatori e altri utenti della community Ia”. Si tratta quindi di post, commenti, descrizioni delle foto e altre informazioni visibili a tutti su Facebook e Instagram. Restano esclusi i messaggi privati, le chat WhatsApp, i contenuti di utenti minorenni e tutti i dati condivisi con restrizioni sulla visibilità come i contenuti con privacy dedicata solo ad amici o gruppi ristretti. Attenzione però, perché il nome utente e l’immagine del profilo sono pubblici e potranno quindi essere utilizzati, così come le eventuali chat e interazioni con Meta Ai potranno essere impiegate per il training dei modelli generativi. 

Nego il consenso

La novità più controversa è quella del meccanismo di negazione del consenso. Meta non richiede un permesso esplicito da parte degli utenti (opt-in), ma applica un sistema di opposizione attiva (opt-out). Per dirla meglio, l’utente deve opporsi in maniera chiara, altrimenti vale il silenzio assenso e Meta potrà usare i dati pubblici per l’addestramento dell’Ia. Di fatto lo spostamento di responsabilità rappresenta, per gli esperti, un cambio di paradigma nella gestione della privacy digitale. Nella mail di Meta c’è un link diretto che rimanda al modulo per l’opposizione, che sarà cura dell’utente compilare. È semplice, ma non intuitivo. https://www.facebook.com/help/?mail_sent Il link rimanda a una pagina che spiega nuovamente cosa Meta farà con i dati personali, e solo in calce si trova una stringa in cui va inserita la mail collegata al proprio account e un box facoltativo che laconicamente chiede “Spiegaci che impatto ha su di te questo trattamento dei dati”. In basso a destra c’è il tasto Invia. Ma non è finita qui, perché poi arriverà una mail, a firma del Meta Privacy Team, che annuncia che “in futuro” non saranno usati i dati pubblici per addestrare Meta Ai. Ma solo in relazione all’account per cui si è fatta la richiesta. Se si posseggono più account bisognerà ripetere l’operazione, e quindi sarà necessario inviare una richiesta per Facebook, una per Instagram, laddove si abbia un solo account per ciascuno di questi social. Ufficio complicazioni affari semplici? Secondo Meta, il processo è semplice e accessibile. 

Dubbio legittimo

In pratica però i nostri contenuti non saranno salvi se commenteremo foto o post di persone che non avranno esercitato il diritto di rinuncia. “Anche se ti opponi o non usi i nostri prodotti” dice la comunicazione Meta, i dati potranno essere utilizzati dall’Ia “se tu o le tue informazioni apparite in un'immagine condivisa con tutti sui nostri Prodotti da qualcuno che li usa, se siete menzionati nei post o nelle didascalie che qualcun altro condivide sui nostri prodotti”. Nonostante Meta garantisca il rispetto del diritto all’opposizione, resta la lecita perplessità degli esperti sull’efficacia della procedura. Cosa accade se un contenuto pubblico viene condiviso da altri? Come possono tutelarsi artisti e creator che pubblicano contenuti originali? La questione è particolarmente rilevante in merito al diritto d’autore e al controllo sull’uso delle opere da parte dell’algoritmo. 

Che buoni i dati europei

L’azienda spiega che l’uso dei dati europei è utile a costruire modelli linguistici capaci di riflettere meglio la varietà culturale, linguistica e sociale del continente. I modelli Ai apprendono "nutrendosi di BigData" e l’utilizzo di contenuti europei servirebbe a rendere la tecnologia più pertinente rispetto ai vari contesti geografici e linguistici e dovrebbe consentire di ridurre il pericolo di bias. E queste sono le buone intenzioni manifestate da Meta, che potrebbero nascondere fra le righe un’esigenza più pragmatica: le BigTech - inclusa Meta - hanno bisogno di nuovi set di dati per far evolvere le loro Ia e i contenuti generati dagli utenti rappresentano una risorsa preziosa. È qui che il discorso sulla privacy entra in collisione con gli interessi commerciali. 

Tra legittimo interesse e rispetto del Gdpr

Meta giustifica la propria scelta con il principio del legittimo interesse, sostenendo che l’uso dei dati avvenga nel rispetto del Gdpr. Secondo la normativa europea i dati personali dovrebbero essere trattati solo con consenso esplicito, specifico e informato. Il rischio maggiore, secondo gli esperti, è che l’utente medio non sia consapevole del trattamento e non eserciti in tempo il diritto di opposizione, perdendo così il controllo sui propri dati. 

Rischi reali e conseguenze future

L’uso dei contenuti pubblici per l’addestramento dell’Ia può comportare una serie di rischi: dalla perdita di controllo sulle proprie informazioni, alla possibilità di essere profilati in maniera dettagliata senza saperlo, fino all’utilizzo dei dati in contesti imprevedibili. Anche se i dati vengono “anonimizzati”, la possibilità di una re-identificazione non può essere del tutto esclusa. Esiste il rischio che questo modello si diffonda, spingendo altre piattaforme a seguire l’esempio di Meta, e rendendo sempre più difficile per gli utenti proteggere davvero la propria identità digitale. La vera difesa potrà avere un risvolto semplice: limitare la visibilità dei propri contenuti, evitare la condivisione di dati sensibili, controllare regolarmente le impostazioni della privacy e cancellare vecchi post pubblici possono essere strategie efficaci per ridurre il proprio “impatto digitale”. 

Il dono della privacy

La vicenda Meta Ai può insegnare tanto, soprattutto che la privacy non va intesa come un diritto automatico, ma come una responsabilità personale. Non basta fidarsi, è necessario agire, essere informati, esercitare i propri diritti. Solo così si può provare a mantenere il controllo su chi siamo nel mondo digitale.

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