Eccidi nazisti? Risarcimenti col contagocce

Uccisi e internati. Eredi e superstiti invocano gli indennizzi che l’Italia corrisponde al posto della Germania. Ma tra cavilli e burocrazia in tanti non ricevono nulla

L’ultima volta che Pasquale Balli ha visto suo padre aveva tre anni. È stato il 13 aprile 1944: Gino Balli era andato nella stalla quando a Castagno d’Andrea, frazione del comune fiorentino di San Gaudenzio, arrivarono le truppe naziste. Erano passati pochi mesi dall’armistizio dell’8 settembre 1943 tra l’Italia e gli Alleati. I tedeschi lo avevano considerato un tradimento e stavano assaltando villaggi e compiendo eccidi. I fatti peggiori si consumarono sulla linea gotica, dove si trova Castagno d’Andrea. Gino sentì il frastuono e salì in cima alla collina per capire cosa stesse succedendo. Una sentinella tedesca lo uccise e la stessa sorte toccò ad altre sei persone.

 

Pasquale, pochi anni dopo, perse anche la madre. «L’eccidio – racconta – ci ha costretti a un’infanzia di sacrifici e a una vita da randagi. Le sentenze degli ultimi anni che hanno disposto risarcimenti per i parenti delle vittime italiane del nazismo sembravano poter fare giustizia. Lo Stato italiano se n’è fatto carico, ma finora non è arrivato niente». Per anni tra l’Italia e la Germania c’è stata una disputa sui risarcimenti alle vittime del nazismo. I tribunali italiani hanno emesso sentenze a carico della Germania, che invece si è opposta, richiamando gli accordi di Bonn del 1962, quando corrispose 40 milioni di marchi tedeschi all’Italia per chiudere la pratica. Nel 2022 il governo Draghi ha creato un fondo da 55 milioni di euro, alzato poi a 60, per farsi carico dei risarcimenti. Doveva essere la soluzione a tutti i problemi, ma non è stato così. I tempi strettissimi per presentare richiesta d’accesso al fondo hanno escluso numerose famiglie, mentre chi ha rispettato i tempi si è scontrato con l’avvocatura di Stato, che rappresenta lo Stato nelle controversie legali e ha fatto opposizione alle domande.

 

Katia Poneti, 53 anni, ha fatto causa per la morte di suo nonno Egidio, partigiano pugnalato dai tedeschi a San Donato in Poggio, vicino a Firenze. «L’avvocatura di Stato si è opposta dicendo che il crimine era ormai prescritto, che mancavano prove che fossimo eredi, che non andava citato lo Stato tedesco e che le modalità di uccisione non avevano costituito sofferenza», spiega. Se in passato lo Stato italiano aveva riconosciuto il diritto al risarcimento tedesco, ora ha di fatto sostituito Berlino nel fare opposizione a queste richieste. Una posizione paradossale, in contrasto con gli interessi del popolo italiano.

 

Il caso di Poneti si è chiuso con un accordo con l’avvocatura di Stato, che ha rinunciato a fare appello contro la sentenza di risarcimento da 50 mila euro. Da normativa sarebbero dovuti arrivare nel giro di 180 giorni, ma un anno dopo non si è ancora visto nulla. «C’è un problema doppio – denuncia l’avvocato Giulio Arria – Prima con l’avvocatura di Stato, che fa eccezioni assurde complicando la vittoria delle cause. E poi con il ministero dell’Economia, che una volta vinte le cause non paga».

 

Giuseppe Ferri ha trascorso due anni nei lager nazisti. Era un ex Imi, i militari italiani deportati in Germania dopo l’armistizio del 1943 e costretti ai lavori forzati. Ha fatto manutenzione delle ferrovie, poi lo hanno mandato in miniera. A cena gli davano una manciata di riso e nei lager ha perso 30 chili. È sopravvissuto e ha fatto causa alla Germania per ottenere un risarcimento per i crimini di guerra subiti. Nel 2019, il tribunale di Brescia ha dato ragione a lui e ad altre decine di ex Imi, ma i risarcimenti non sono mai arrivati, né da Berlino né da Roma. «Sembrava che quella sentenza potesse chiudere questa storia. Idem l’istituzione del fondo italiano nel 2022. Invece non è stato così», spiega Massimo Ferri, che sta portando avanti la battaglia del padre, deceduto nel 2016: «Si stanno arrampicando su tutti gli specchi possibili, ogni anno ne salta fuori una». Anche Giovanna Gamba, 77 anni, porta avanti la battaglia di suo padre Spartaco, internato per due anni nei lager tedeschi. «Il risarcimento – sottolinea – ha un valore simbolico e morale, non economico. Non è nemmeno giusto che sia l’Italia a pagare, era importante fosse la Germania a farlo».

 

«Per ora è stata risarcita solo una piccolissima parte di chi ne avrebbe diritto, sembra che tutto si sia bloccato», dice l’avvocata Vittoria Hayun. Il ritardo nei pagamenti rispetto ai limiti normativi fa lievitare gli interessi, dunque lo Stato italiano non pagando oggi dovrà pagare di più domani e c’è chi parla di danno erariale. «Stiamo seguendo l’ordine cronologico di arrivo delle domande. Finora sono stati pagati 11.265.876,04€ per 51 ordini di pagamento nel 2024 e 7.404.155,90€ per 37 ordini nel 2025», comunica a L’Espresso il ministero dell’Economia, assicurando che tutti gli aventi diritto verranno risarciti. Eppure mancano centinaia di pagamenti per cui il limite dei 180 giorni è scaduto da mesi se non da anni.

 

Alcuni Comuni si sono attrezzati per sostenere le richieste. A San Gaudenzio, dove ci fu l’eccidio di Castagno d’Andrea, il sindaco ha creato la carica di assessore alla Memoria, ricoperta da Cleto Zanetti. «Cerchiamo di farci sentire per avere risposte da Roma – dice – Nel nostro Comune ci sono quattro persone che hanno una sentenza di risarcimento a favore». Tra questi c’è Enzo Nenci, 80 anni. Le truppe naziste uccisero i suoi nonni e altri familiari, proprio a pochi giorni dalla sua nascita. La madre si ritrovò sola e la sua fu un’infanzia di stenti. «Dopo 80 anni – racconta – una sentenza ha riconosciuto le sofferenze subite dalla mia famiglia. I soldi del risarcimento però non li abbiamo mai visti».

LEGGI ANCHE

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 25 aprile, è disponibile in edicola e in app