Tornare per la terza volta alle traduzioni via Internet potrebbe sembrare indisponente. Ma questa volta non voglio ironizzare sulla ottusità delle macchine, bensì vedere come sfruttarla a fini creativi. Devo il consiglio a Lee Marshall. Egli ha prima di tutto tradotto da italiano in inglese e poi dall’inglese all’italiano i primi due versi della Divina Commedia, e il risultato ha semplicemente confermato che una macchina non può scendere in gara con il Divino Poeta. Ma Marshall ha avuto un’idea migliore. Ha scritto il verso originale italiano, ma ha detto al computer che era spagnolo e gli ha chiesto di tradurlo in inglese. La macchina ha ovviamente trovato parole spagnole che non conosceva, e le ha lasciate così com’erano: "Nel mezzo del cammin I gave nostra vita, mi ritrovai to per a dark forest".
Dopodiché gli è stato chiesto di tradurre in francese, ed ecco il risultato: "Mezzo de Nel de cammin j’ai donné le vita de nostra, ritrovia de mille a par foncée une foret". A una mia prova successiva il risultato è stato diverso (segno che la macchina ogni volta tenta nuove strade) e la seconda parte è venuta “mon ritrovai à foncée unites foret”. Marshall osserva che, nella sua insensatezza, il distico viene a prendere un sapore leggermente provenzale (e lascio decidere ai filologi romanzi, che potrebbero provare ancora). Marshall ha provato a chiedere ad Altavista di ritradurre la frase dal francese in inglese - ma la macchina si è rifiutata, il che è segno che ha una sua interna moralità. Però, con tratto sempre più diabolico, le ha chiesto di considerare il testo francese come spagnolo, e di ritradurlo in inglese e poi di nuovo in italiano. Il silicio ha ceduto restituendo infine Mezzo de Nel del donné di fai di cammin il vita del nostra, ritrovai di mille per accoppiare il foncée unisce il foret.
L’ultimo esperimento consisteva nell’attuare i seguenti passaggi: italiano-inglese, inglese-francese, francese-inglese, inglese-portoghese, portoghese-inglese, inglese-italiano. Ecco il risultato finale: "Nei sensi del modo della nostra vita, ho ritrovato ancora per scuri i trivelli". Basterebbe a questo punto aggiustare di poco, e produrre: "Nella vita dei nostri sensi - ho trovato per oscuri trivelli - ancora", e poi decidere a quale poeta contemporaneo si potrebbe attribuire questo verso. Ammetto di avere poi barato, dando un testo spagnolo dove si nomina "pane e burro" e ottenendo per vari raggiri "lastra di vetro e asino", ma era facile. Piuttosto ho dovuto arrestarmi quando, senza malizia, ho scritto l’inizio di una preghiera in latino, dicendo al computer che era spagnolo; non avevo calcolato che in tal caso una certa parola cambiava moltissimo di senso, e dopo alcune trasformazioni ho ottenuto un effetto fortemente blasfemo.
Gentilmente Marshall mi fa notare che non avrei più bisogno d’inventare un personaggio di un mio vecchio romanzo, che parlava mettendo insieme pezzi di tutte le lingue. In realtà, giocando con le possibilità della tecnologia, potrei inventare un personaggio ancora più flessibilmente facondo. Salvo che tutti lo prenderebbero per un essere normale che ha deciso solo di parlare on line. Qualcuno potrebbe pensare che esercizi del genere potrebbero un giorno permetterci di ricostruire la lingua perfetta che esisteva prima della catastrofe di Babele. Vorrei ricordare che, secondo il pensatore arabo Ibn Hazm questa lingua (parlata da Adamo con Dio) era perfetta non perché fosse diversa dalle nostre lingue ma perché le comprendeva tutte.
Però è possibile l’altra ipotesi: che Adamo, avendo parlato a Dio usando il traduttore di Altavista, sia stato cacciato dall’Eden non per aver mangiato la mela (ogni allusione allo Apple mi sembra ingenerosa) ma proprio per avere anticipato la catastrofe della Torre di Nembrotte. Ma anche questo sarebbe un risultato non male: avremmo scoperto come non bisogna parlare per evitare che la Torre ci caschi addosso. Buon avviso per chi eccede in anglicismi inutili, e quindi monito severo per il millennio della Globalizzazione. D’altra parte, ricordate quell’essere umano che in televisione aveva letto l’espressione latina “sine die” intendendola come inglese e pronunciando “sain dai”? Ebbene, ho proposto “sine die” ad Altavista, esso lo ha riconosciuto come espressione latina che fa parte ormai anche del vocabolario inglese, e l’ha tradotta in modo giusto. Non dico che talora le macchine siano meglio degli uomini ma certamente spesso gli uomini sono più stupidi delle macchine.