Di piazza e di poltrona, di lotta e di governo. No alle armi oggi, sì alla Campania post De Luca domani. Alla prima prova da capo assoluto dei Cinque stelle, senza più Elevati, Fondatori e Associati, con un Movimento ormai a sua immagine e somiglianza, con Marco Travaglio sul palco, con una parola d’ordine chiara ma nessuno con cui fare asse (il leader della Cgil Maurizio Landini gli ha detto no grazie), Giuseppe Conte rilancia la sfida con se stesso: mutare colore, ma anche sottotono, a seconda della fase, ancora una volta. La sua specialità. Gialloverde, giallorosso, rossobruno, più anti Pd o più anti Meloni: sempre lui. Anche se certo, alcune cose cambiano davvero, irreversibilmente: stavolta ai Fori Imperiali, invece di Beppe Grillo con l’invito a «mettersi il passamontagna» come due anni fa, ci sarà Rita De Crescenzo, l’influencer napoletana che a gennaio intasò la stazione sciistica di Roccaraso dicendo a tutti di andarci e che ora, in modo martellante, invita i suoi milioni di follower a seguirla per il corteo: «Amm’ a scendere tutt’ quant’ a Roma», «hanno organizzato dei pullman a disposizione in tutta la regione di Napoli». Utile riempitivo, visto che l’ultima volta l’«onda» pentastellata, come la chiama Conte, era piena di buchi vuoti, nonostante l’organizzazione e i pullman. Ma dal quartier generale Cinque stelle fanno la faccia storta, per questo endorsement: rischia di diventare lei, la tik toker, la notizia. Eppure, in fondo, anche questo è il famoso «uno vale uno», no? Altrimenti detto, alla De Crescenzo: «A me nisciun’ me comann’, sono una cittadina normale, posso andare a marciare, sono libera di fare quello che voglio».
Ecco, a proposito. Quel «marciare divisi e colpire uniti» enunciato dal senatore dem Dario Franceschini a fine gennaio via intervista a “Repubblica”, più che la dottrina per un futuro centrosinistra, è già la fotografia di uno stato di cose. Dal lato pentastellato di sicuro. L’istantanea esatta di un’area che mima la guerra (politica) ma sotto il polverone prepara il negoziato, una pace.
L’ultimo esempio arriva dritto dalla cronaca di questi giorni. Proprio mentre Giuseppe Conte, con apposito reel, tuona contro «Meloni, Crosetto, Calenda e tutti i loro amici del partito trasversale della guerra», proprio mentre per converso il leader di Azione, con apposito congresso, grida dal palco che «l’unico modo per avere a che fare con il M5S è cancellarlo», a Genova Movimento cinque stelle e Azione colpiscono uniti. Al contrario di come fecero nelle elezioni politiche del 2022. E sostengono la candidatura civica della lanciatrice di martello Silvia Salis per il dopo Bucci: come stanno facendo tutti gli altri partiti del centrosinistra, nessuno escluso. Accadeva lo stesso l’anno scorso in Abruzzo, accadrà tra poco meno di un anno in Campania, che quanto a capacità di disegnare gli assetti futuri è la più interessante tra le regioni chiamate ad andare al voto tra fine 2025 e inizio 2026.
Nel feudo decennale di Vincenzo De Luca, se la Corte costituzionale tra qualche giorno (l’udienza è prevista il 9 aprile) bloccherà la legge regionale che consente il terzo mandato, si sta per aprire la grande trattativa per costruire la prossima corsa del centrosinistra, con equilibri nuovi rispetto all’attuale maggioranza, nella quale ci sono Partito democratico e Italia viva, ma non il Movimento contiano. I sondaggi, come quelli di Youtrend pubblicati la settimana scorsa sul “Corriere del Mezzogiorno”, parlano chiaro: il Pd è al 22,4 per cento, i Cinque stelle al 21,8, un candidato del campo largo arriverebbe primo (56,6 per cento), persino (con il 43,2 per cento) se l’attuale governatore dovesse correre per conto proprio (un candidato deluchiano si fermerebbe al 21 per cento). Insomma in Campania il centrosinistra può rivincere con l’alleanza larga e i Cinque stelle dentro: modello Manfredi, ormai archetipo di successo, dopo la conquista del Comune di Napoli nel lontano ottobre 2021.
Ed ecco che, sotto la patina bellicosamente pacifista, in vista di un possibile accordo, Conte in Campania ha già fatto delle aperture: a De Luca, a una trattativa senza esclusi, a una scelta che non sia calata dall’alto. È tutto ciò che serve per trovare un accordo. «Non propongo nomi, andrà fatto un tavolo con tutte le forze progressiste, non credo sia corretto da Roma offrire diktat e indicazioni», ha detto il capo dei Cinque stelle sabato 28 marzo, nel corso di una giornata già dal sapore elettorale passata proprio in Campania, tra una visita a chi vive a Campi Flegrei, un’altra agli operai della Jabil di Marcianise, nonché la partecipazione al congresso del Psi a Napoli (coincidenza: era all’hotel Ramada, stesso punto della raccolta pullman indicati da De Crescenzo). Le basi di una morbida trattativa, che poi dalla Campania è pronta ad irradiarsi alle altre regioni, dalla Puglia alla Toscana.
Con un punto qualificante: il candidato governatore dovrebbe essere indicato dai Cinque stelle. Come in Sardegna con Alessandra Todde. In Campania del resto ci sarebbe una convergenza di interessi, tra il Pd che è nella posizione più difficile per il passaggio al dopo De Luca ed è quindi pronto a un passo indietro, e il Movimento che ha bisogno di giustificare l’alleanza presso gli elettori meno filo-dem argomentando la propria indispensabilità (per la serie: dove guidiamo la coalizione, si vince). Al primo posto tra i papabili ci sarebbe Roberto Fico, l’ex presidente della Camera che da quando è uscito da Montecitorio fa parte integrante della prima fila dei notabili del centrosinistra campani, in ogni occasione. Uomo d’area, più che di partito: tendenza Manfredi, ancor più che tendenza Conte. Fico è fra l’altro primo nei sondaggi di gradimento, molto più conosciuto dell’altro possibile Cinque stelle, Sergio Costa. Il secondo, secondo le classifiche, sarebbe proprio il sindaco di Napoli: Manfredi però, oltre ad essere appena diventato presidente dell’Anci, sembra incline ad altri percorsi.