Grande è la confusione sotto il cielo – come diceva Mao Zedong a proposito della Cina pre-rivoluzionaria aggiungendo «quindi la situazione è eccellente» – se a lodare Donald Trump, quasi arrivando a definirlo pacifista, è un intellettuale “gramsciano”, Angelo d’Orsi, lo stesso professore torinese che aveva invitato a boicottare la manifestazione europeista del 15 marzo a Roma, per un «clima di russofobia e di bellicismo». E ora d’Orsi non esita a sostenere che «Anche se è una boutade definirlo pacifista, Trump in questo momento fa una cosa buona. È l’unico – dice lo storico del pensiero politico – che ha interrotto il meccanismo della guerra, anche perché deve remunerare il suo elettorato dopo aver promesso di non fornire nuovi aiuti all’Ucraina. Sono dalla parte del presidente americano se fa la cosa giusta».
È da dubitare che la situazione sia “eccellente” (per restare all’immagine maoista). Piuttosto, Trump ribalta la politica italiana. Chi era antiamericano diventa filoamericano e viceversa. Sull’Ucraina e non solo, guardano a Trump, Matteo Salvini e Giuseppe Conte. «Accompagniamo il processo di pace aperto da Trump», chiede il vicepremier-ministro-leader della Lega nel momento stesso in cui boccia l’Europa delle armi. «Sarei molto cauto a definire il presidente americano pacifista, ma certamente Trump è molto motivato nel cercare di concludere il conflitto in Ucraina. Fra la prospettiva di una guerra di logoramento e la possibilità di una pace anche imperfetta, dobbiamo scegliere quest’ultima, perché sarebbe la soluzione meno dolorosa», ritiene Paolo Borchia, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo. «Trump ha smascherato la propaganda bellicista sull’Ucraina», sostiene Giuseppe Conte, che oltre a bocciare il riarmo europeo (come Matteo Salvini), conferma il no agli aiuti militari a Kiev. Posizioni che consentono a Lega e M5S di crescere nei sondaggi più recenti.
È il Popul-pacifismo. Un intreccio favorito dalla svolta americana, ma con radici più profonde. «Non c’è da stupirsi se partiti che vengono definiti populisti hanno assunto un atteggiamento fortemente critico verso il piano di riarmo presentato da Ursula von der Leyen. In tutte le sue declinazioni – di destra, di sinistra o trasversali – la mentalità populista è, per sua natura, aliena dall’assumere atteggiamenti bellicisti, e anche quando si accompagna a toni patriottici, esprime un nazionalismo difensivo, non offensivo o espansionista». È l’analisi di Marco Tarchi, politologo, che, oltre agli studi sulla destra italiana, ha dedicato proprio all’Italia populista un fortunato saggio edito alcuni anni fa dal Mulino. L’elettore cui guarda la «mentalità populista», sottolinea Tarchi a L’Espresso «è l’uomo comune, ordinario, che vuole coltivare i propri interessi e modi di vita abituali e diffida di tutto ciò che può turbare la sua quotidianità, reclama sicurezza e non presta alcuna attenzione a quello che accade al di là delle frontiere del Paese in cui vive. A meno che non percepisca rischi di guerra, che vorrebbe a tutti i costi evitare». Per il politologo del “Cesare Alfieri” di Firenze, è sempre stato così. «Basti pensare agli esempi dell’Uomo qualunque in Italia, che ingiungeva allo Stato di non “rompere le scatole” a chi si “faceva i fatti suoi” e del poujadismo in Francia, che reclamava la protezione dei “piccoli” contro le intrusioni della politica nella loro sfera privata. Conte e Salvini, ciascuno a suo modo, riprendono e adattano all’attualità quel tipo di atteggiamenti. Non possono considerare quel che accade in Ucraina come una minaccia al popolo italiano e vorrebbero ritornare quanto prima possibile a rapporti pacifici – ed economicamente fruttuosi, perché farebbero calare i costi energetici delle imprese e consentirebbero la ripresa di investimenti in loco – con la Russia. E si dimostrano così ancora una volta, al di là delle collocazioni dettate dall’opportunità o dalle temporanee esigenze tattiche sul fronte progressista o su quello conservatore, poco sensibili alle ragioni dell’ideologia».
Salvini e Conte, sulla stessa linea di Landini, sostengono che il riarmo europeo toglierebbe risorse allo Stato sociale, incoraggiati, in questo, dai sondaggi che segnalano solo un 32 per cento di persone favorevoli alla causa di Kiev. «Il pacifismo, quello storicamente emerso nella versione cattolica e in quella comunista, non c’entra nulla. Qui siamo solo davanti a operazioni strumentali e opportunistiche, che mirano alle prossime elezioni politiche», taglia corto Claudia Mancina, che fa parte della direzione Pd ed è esponente dell’associazione Libertà Eguale. Maurizio Lupi (Noi Moderati) assicura: «La linea del governo è espressa da Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Sosteniamo il rafforzamento della difesa con strumenti europei e ci opponiamo a una guerra commerciale che avrebbe solo effetti negativi». Dal Pd, Anna Ascani, vicepresidente della Camera, ribadisce: «Non vogliamo il riarmo delle nazioni, per questo abbiamo sostenuto la necessità di revisione del piano presentato da Ursula von der Leyen. Sarebbe la strada sbagliata. Serve più integrazione, serve che il debito sia comune, ma occorre prendere atto che si è chiusa la stagione in cui erano gli Usa a occuparsi della nostra sicurezza e aprirne un’altra che va sotto il nome di difesa comune europea, io credo che sia il compito di un’alleanza progressista che vuole essere credibile nel candidarsi a guidare il Paese». E nelle fila dei 5 Stelle non è dalla parte del presidente Usa il senatore Ettore Licheri (Commissione Esteri di Palazzo Madama), che si rivolge anche alla maggioranza: «C’è a destra una gara a chi è più trumpiano di Trump: questo non farà bene all’Italia. Trump è un uomo, un imprenditore spregiudicato. La sua vita, i suoi fallimenti, i suoi processi, parlano per lui. Godiamo però di un vantaggio: conosciamo la sua tattica. “L’Europa ha trattato male l’America, io tratterò bilateralmente solo con coloro che considererò miei alleati politici” ha detto. Ora se cadiamo in questa trappola l’Europa e gli europei saranno spacciati». Anche quando si occupa dell’Ucraina, il presidente americano lo fa «in modo rozzo, senza cura per gli interessi europei e ucraini». Il suo vice, J.D. Vance, che lo spalleggia in funzione anti-europea, è apprezzato sia da Salvini sia da Meloni per i giudici sferzanti sul Vecchio Continente, in una rincorsa sovranista all’interno del governo. Quanto a Elly Schlein, cresce la presa di distanza da Ursula von der Leyen per il suo piano da 800 miliardi di euro di cui la leader del Nazareno chiede la «revisione radicale», anche per fronteggiare il pacifismo M5S. Ma oltre questo, la segretaria del Pd non può spingersi.